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  • I LIMITI DELL'EUROPA Il Vecchio Continente non è, e forse non sarà mai, uno stato federale. Quindi ha dei limiti. di FABIO COLASANTI | 18/03/2020

    Molti oggi invocano un aiuto dell'Unione europea all'Italia per far fronte alla crisi del Covid-19. Alcuni criticano apertamente l'Unione europea per un aiuto che giudicano troppo esiguo. Ma in che maniera l'Unione europea potrebbe aiutare l'Italia ? Sono giustificate le critiche ? Non darò una vera risposta a queste domande, ma cercherò di spiegare in che termini si pone il problema, cosa ci si può aspettare e cosa non ci si può aspettare. Spero di poter dare gli strumenti analitici perché ognuno possa dare una propria risposta più informata a queste domande.

    Per rispondere a queste domande bisogna prima di tutto spiegare cos'è l'Unione europea e cosa questa può fare. Spiegare cos'è l'Unione europea è anche necessario perché molte espressioni di delusione che appaiono nel dibattito italiano sono basate su di una presunta inadeguatezza dell'Europa attuale rispetto ad una Unione europea mitica che si è sviluppata nell'immaginario di alcuni nostri concittadini. La maggioranza dei cittadini di altri paesi europei ha un atteggiamento più positivo verso l'Unione europea perché non ha mai immaginato che questa potesse essere molto diversa da come è stata costruita. In Italia, molti si sono addirittura convinti che l'Unione europea attuale costituirebbe un "tradimento" di un'idea che però è esistita soprattutto nella loro immaginazione.

    L'Unione europea non è, e non sarà per decenni ancora, una entità federale con un governo unico. Per di più, l'Unione europea non ha – e probabilmente non avrà mai – tutte le competenze di uno stato nazionale. Anche se l'Unione europea diventasse un giorno un'entità federale, questa non avrebbe mai tutte le competenze che hanno oggi gli stati nazionali.

    L'Unione europea ha un certo numero di competenze indicate in maniera esplicita e limitativa nei trattati. Queste competenze sono soprattutto in materie economiche perché l'obiettivo del processo di integrazione europea lanciato negli anni cinquanta era l'integrazione economica europea. E le competenze dell'Unione europea sono soprattutto in quello che riguarda le relazioni tra paesi, in tutto quello che ha un carattere transfrontaliero.
    La prima competenza che è stata attribuita all'Unione europea è stata quella per gli scambi di beni e servizi e il commercio estero alla quale si è aggiunta la libera circolazione dei capitali e delle persone. Da queste sono derivate tutta una serie di competenze sussidiarie, dalle regole per la concorrenza al trasferimento al livello europeo delle migliaia di norme nazionali sui beni e servizi che erano state adottate nel tempo per la protezione dei consumatori, della salute, dell'ambiente, dei diritti di proprietà intellettuale e per tante altre ragioni. Queste regole sono oggi decise a livello europeo perché se fossero prese a livello nazionale rischierebbero di creare degli ostacoli al commercio interno.

    Tante materie di competenza nazionale non sono mai state trasferite a livello dell'Unione europea perché non c'era motivo di farlo o, a volte, perché non si è riusciti a trovare un accordo per farlo. L'istruzione, la sanità, l'organizzazione amministrativa degli stati, la giustizia, le forze dell'ordine, i lavori pubblici e l'immigrazione da paesi terzi sono tutte materie di competenza nazionale e quasi sempre per buoni motivi. Purtroppo non si è riusciti a trovare un consenso per dare veri poteri all'Unione europea in politica estera, nella tassazione diretta o in qualche altro campo dove invece uno potrebbe immaginare di attribuire competenze ad un'entità centrale (ognuno avrà la sua idea su cosa si sarebbe potuto trasferire in più).

    Ma la cosa più importante è che tutte le decisioni sono prese dai rappresentanti dei paesi membri (Consiglio europeo e Consiglio dei ministri). In molti casi questi devono tener conto dell'opinione del Parlamento europeo. L'Unione europea è come un condominio. L'amministratore può fare più o meno bene il suo lavoro, ma le decisioni sono prese dall'assemblea dei comproprietari. Se questi non si mettono d'accordo non è colpa del condominio come istituzione. Inveire contro l'Unione europea come tale è come prendersela contro l'istituzione del condominio nella mia analogia.
    I rappresentati degli stati membri sono eletti dal loro elettorato e tengono evidentemente conto di cosa questo pensa. La fiducia tra le opinioni pubbliche dei vari paesi ha quindi un ruolo fondamentale. Purtroppo nei periodi di difficoltà (crisi del 2008/2009, crisi del 2011/2012 e oggi con il coronavirus) le opinioni pubbliche tendono a rinchiudersi su se stesse e questo non facilita la presa di decisioni. Per di più, durante la crisi del 2011/2012 c'è stato un crollo della fiducia tra i paesi e questo ci mette oggi in una situazione di partenza molto più difficile.

    La solidarietà tra i paesi membri era un'idea che era assente dai trattati degli anni cinquanta. La solidarietà tra paesi è stata introdotta concretamente verso la metà degli anni settanta con i fondi strutturali che sono poi stati praticamente raddoppiati negli anni novanta. Questa è una forma di solidarietà importante. I fondi strutturali permettono di aiutare le regioni in ritardo di sviluppo o con gravi problemi sociali. Per i piccoli paesi, l'aiuto europeo è molto consistente. Un esempio. Dal 1981 ad oggi la Grecia ha ricevuto ogni anno trasferimenti netti dall'Unione europea per cifre pari a circa il tre per cento del suo PIL. Gli aiuti del piano Marshall sono stati pari a circa il due per cento del PIL dei paesi aiutati per un anno e, in qualche caso, due. La Grecia ha quindi beneficiato finora di 38 anni consecutivi di aiuti annuali dell'Unione europea superiori a quelli del piano Marshall.

    Le decisioni su questi aiuti sono però piuttosto rigide. Ogni sette anni si decide un importo totale per i fondi strutturali e la sua ripartizione tra i paesi. Modificare questo accordo, che di solito richiede negoziati lunghissimi, è praticamente impossibile.

    Negli anni scorsi, l'Unione europea ha riconosciuto il bisogno di disporre di un fondo per poter aiutare dei singoli paesi in caso di catastrofi, ma tutto quello che gli stati membri hanno voluto autorizzare è stato un piccolissimo fondo che permette di erogare qualche milione di euro per gli aiuti di urgenza, ma si tratta di cifre molto piccole con un valore quasi unicamente simbolico. L'Unione europea non ha quindi strumenti per aiutare in maniera concreta i paesi che si trovino ad affrontare grossi problemi imprevisti. I comproprietari non hanno voluto dare all'amministratore questa possibilità di intervento.
    Nel caso dei recenti terremoti in Italia, la Commissione è riuscita a convincere gli stati membri non ad aumentare i fondi strutturali per l'Italia (le ripartizioni sono quelle che sono e riaprire il pacchetto è molto difficile), ma di modificare alcune regole amministrative. Per esempio, per i fondi strutturali usati per la ricostruzione non è stato necessario avere fondi nazionali di importo corrispondente, si sono semplificate le procedure di controllo e si sono accelerate le erogazioni anticipando il pagamento di fondi previsti per gli anni seguenti.

    Cosa avrebbe potuto fare o potrebbe fare l'Unione europea nel caso del coronavirus ? La sanità è una competenza esclusivamente nazionale (articolo 168 del TFUE). L'Unione europea non può dire agli stati membri che misure prendere e come. L'Unione europea non può nemmeno fissare standard da seguire per questo o quell'intervento di prevenzione.

    Francia e Germania hanno bloccato le esportazioni di mascherine e altro materiale medico. La Commissione europea, usando i suoi poteri in materia di commercio interno, ha minacciato una procedura di infrazione di fronte alla Corte di Giustizia e Francia e Germania hanno revocato il blocco.

    Gli stati membri hanno accettato alcuni anni fa di creare un meccanismo volontario di aiuto tra le protezioni civili dei paesi membri. Si tratta del meccanismo sulla base del quale i paesi europei si prestano i Canadair ed altro materiale simile. L'Italia ha chiesto alla Commissione di attivare questo meccanismo per ottenere delle forniture di mascherine. La Commissione lo ha fatto immediatamente, ma visto che il problema coronavirus stava emergendo in ogni paese, nessuno si è fatto avanti per offrire le proprie mascherine.

    La Commissione ha però proposto una modifica del meccanismo volontario di aiuto reciproco e ha lanciato una procedura comune di acquisto di materiale medico che eviterà una concorrenza tra i paesi membri negli acquisti di questo materiale e produrrà una distribuzione razionale di quanto acquistato. 26 paesi membri hanno aderito all'iniziativa e i primi prodotti acquistati in questa maniera dovrebbero essere disponibili ad aprile. La Commissione ha lanciato anche un'iniziativa nei confronti delle industrie del settore per avere un'idea delle disponibilità e delle possibilità di riconversione della produzione. La Commissione ha lanciato queste iniziative su di una base politica, senza avere una competenza legale in materia; cerca di essere non solo l'amministratore del condominio, ma – dove possibile – il direttore d'orchestra.

    Ma l'emergenza sanitaria è solo una parte dei problemi creati dal coronavirus. La recessione in cui siamo già avvitati è grave come l'emergenza sanitaria. Qui si pongono due problemi: quello di un eventuale aiuto specifico all'Italia o ad altri paesi e quello che è necessario nell'interesse di tutti.

    Sugli aiuti all'Italia o agli altri paesi i problema è, come sempre, che per poter fare qualcosa che non sia puramente simbolico bisogna chiedere soldi agli stati membri e il problema è lo stesso delle mascherine: ognuno pensa al fatto che avrà sicuramente delle necessità sue nei prossimi mesi (nezcessità per di più difficili da quantificare oggi) ed è quindi poco incline ad accettare di fare nuove spese comuni. Tutto quello che è stato ottenuto finora è l'idea di utilizzare a sostegno degli investimenti nazionali 8 miliardi di euro non ancora spesi nei fondi strutturali 2014-2020 più 29 miliardi da trovare nel bilancio dell'UE.

    Più importante è quello che si potrà fare nell'interesse di tutti per lottare contro la recessione già in corso. Qui l'Unione europea ha già dato due indicazioni, la prima è che si utilizzeranno pienamente le ampie possibilità di flessibilità delle regole europee in materia di bilanci pubblici. Reazione giusta, ma poi ogni paese dovrà vedere in che maniera un aumento del suo disavanzo sarà accettato dai mercati. La seconda è stata l'indicazione di un'applicazione più elastica delle regole sugli aiuti di stato. Ma anche qui ci possono essere degli inconvenienti. Se gli stati membri fossero liberi di dare aiuti di stato a piacimento, altri paesi potrebbero sovvenzionare le loro imprese molto più di noi. Le regole rigide attuali sugli aiuti di stato sono nel nostro interesse.

    La Banca centrale europea farà il necessario. Sul suo sito si può leggere la frase "Chiaramente siamo pronti a fare di più e a ricalibrare tutti i nostri strumenti, se necessario, per far sì che gli alti spreads che vediamo dovuti all’accelerazione della diffusione del coronavirus non impediscano la trasmissione” (nota mia: "degli impulsi della politica monetaria") a firma di Philip Lane, membro dell'Executive Board della banca. Lo stesso concetto è stato espresso dalla signora Lagarde in un'intervista concessa immediatamente dopo la sfortunata conferenza stampa del 12 marzo e da Fabio Panetta, altro membro dell'Executive Board.

    La cosa che sarebbe veramente necessaria sarebbe un grosso programma di investimenti transfrontalieri di interesse comune e finanziati con titoli emessi dall'Unione europea e garantiti da tutti i paesi membri (gli eurobonds, quello che si fa già oggi con il MES a livello dell'eurozona). Girano già varie proposte in questo senso, con modalità a volte diverse. Ma come sarebbero accettate proposte dal genere dalle opinioni pubbliche dei vari paesi ? Oltre a tutto si tratterebbe di operazioni non previste dai trattati e servirebbe quindi un accordo unanime. Sarebbe possibile ?

    Ognuno può avere la sua idea di come dovrebbe essere un'Europa ideale. Ma per arrivarci è sempre necessario partire dalla situazione in cui siamo oggi e convincere gli altri cittadini europei della necessità di andare nella direzione che si propone.

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