Risposte

  • NEMICI DELLA CRESCITA

    A parole tutti favorevoli a un maggior sviluppo, nei fatti no.

    di FABIO COLASANTI | 20/04/2020

    La maggioranza degli italiani non vuole la crescita economica.   Intendiamoci, se ci fosse un sondaggio che ponesse la domanda: "Auspica che la crescita economica italiana sia più forte?", la stragrande maggioranza degli italiani risponderebbe in maniera affermativa.   Solo i pochi sostenitori della "decrescita infelice" risponderebbero in maniera negativa. 

    La mancanza d'interesse della maggioranza degli italiani per la crescita economica si manifesta però in maniera implicita attraverso le preferenze che esprime in tanti campi dove è inevitabile fare una scelta tra protezione di interessi collettivi e crescita economica.   In alcuni casi, molti non si rendono conto di questo trade-off.   Ma in tanti altri casi il dibattito sulle misure fa apparire in maniera sufficientemente chiara le conseguenze delle scelte possibili e quelle della maggioranza vanno di solito nella direzione della maggior protezione possibile, qualunque ne sia il costo. 

    La tendenza collettiva implicita che ho appena descritto è stata fatta notare da tanti e da moltissimo tempo.   Non è una caratteristica solo italiana, ma in Italia è più forte che in altri paesi europei.   La popolazione europea è una popolazione benestante, con un'età media abbastanza alta e che vuole soprattutto conservare e difendere quello che ha.   Popolazioni meno ricche e più giovani vogliono migliorare le loro condizioni di vita e sono disposte a correre dei rischi per raggiungere questo obiettivo.   Cosi come abbiamo fatto noi durante i "trenta anni gloriosi" del dopoguerra. 

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    La richiesta di protezione espressa dalla maggioranza dell'opinione pubblica italiana viene raccolta dai partiti politici e dai governi e si manifesta in tanti modi.   Uno, molto evidente, è il fatto che l'Italia è uno dei paesi che quando deve trasporre nel sistema giuridico italiano delle direttive dell'Unione europea tende a renderle più ambiziose (pratica conosciuta come "gold plating"). 

    Per di più, nelle discussioni a livello europeo i nostri rappresentanti tendono ad assumere delle posizioni molto "avanzate" su temi sociali e di protezione dell'ambiente indipendentemente dalla capacità del nostro paese di applicare quanto deciso e della capacità del nostro sistema economico di sopportare le conseguenze delle nuove norme.   Il grosso delle multe che ci sono imposte dalla Corte di Giustizia europea riguarda il non rispetto delle norme ambientali europee.   Ma tutte queste norme hanno ricevuto il voto positivo dei nostri ministri.  Spesso i nostri ministri responsabili della protezione dell'ambiente sono stati nella pattuglia dei ministri che più hanno spinto per una legislazione ambiziosa battendosi contro le resistenze di altri paesi, anche del centro-nord Europa. 

    Si è, giustamente, parlato dei grossi problemi di inquinamento nella città di Taranto.   Per molte delle fonti di inquinamento di cui si discute, la regione delle Puglie ha deciso di fissare delle soglie più basse e ambiziose di quelle europee (in una situazione dove nemmeno le soglie europee erano rispettate).   

    Il nostro paese non ha mai veramente voluto utilizzare il sistema di valutazione dell'impatto delle misure legislative adottate come quelli che esistono alla Commissione europea e in qualche altro paese.   Il sistema in Italia esiste sulla carta, ma non sembra avere la benché minima influenza, anche perché le nostre decisioni più importanti sono prese di solito solo a ridosso delle scadenze.  

    Un sistema di analisi dell'impatto delle misure legislative obbligherebbe a consultare in maniera larga, a raccogliere dati e a decidere su di una base razionale.   Un esempio fra tanti.   Se avessimo avuto l'obbligo di riflettere un attimo, forse non avremmo introdotto l'obbligo di vendere l'acqua minerale solo in bottigliette sigillate.   Il numero di casi di avvelenamento registrati era molto basso.   E perché proibire la vendita di un bicchiere d'acqua minerale e non quella di un bicchiere di Coca Cola, di vino o di qualsiasi altra bevanda liquida ? 

    E quanti altri paesi al mondo hanno introdotto l'obbligo di avere seggiolini per i bambini con un dispositivo anti-abbandono?  Pensiamo veramente che gli altri paesi non abbiano a cuore la vita dei bambini ?  O si è pensato che noi italiani fossimo più propensi degli altri a dimenticare i bambini nelle auto ? 

    Un altro esempio di questa forte richiesta di protezione viene dalla quantità delle nostre norme.   Il Corriere della Sera ha pubblicato il 18 aprile scorso un articolo con delle cifre paurose, noi avremmo quasi 30 volte il numero di norme che avrebbe la Germania.   Gran parte della differenza deve essere dovuta alla mancanza di codificazione delle leggi (cosa che rende la vita infernale a chiunque deve utilizzarle).   Ma sembra comunque chiaro che noi si abbia molte più leggi e norme di altri paesi industrializzati.  

    Ma la scelta implicita contro la crescita si evidenzia anche nella mancanza di interesse nel dibattito politico per il problema della nostra bassissima crescita economica.   Negli ultimi venticinque anni, come il grafico mostra bene, noi siamo cresciuti molto meno degli altri paesi dell'eurozona e del resto dell'Unione europea.   Nel periodo esaminato siamo cresciuti anche meno della Grecia nonostante gli otto anni di recessione di questo povero paese. 

    La mancanza di crescita significa anche mancanza di posti di lavoro.   Nel 2019, eravamo il paese con il quarto tasso di occupazione più basso nell'Unione europea.   Solo in Polonia, in Croazia e in Grecia la percentuale delle persone che lavorano rispetto alla popolazione tra i 15 e i 74 anni è più basso del nostro.   Le mancanza di crescita significa anche stagnazione delle entrate fiscali.   E tutti conosciamo la situazione delle nostre finanze pubbliche.   

    Con la Grecia siamo i soli due paesi che non hanno ancora ritrovato il livello di PIL reale che avevano nel 2007, prima delle due crisi economiche.   Nell'ultimo trimestre del 2019 il nostro PIL è diminuito dello 0.3 per cento rispetto al trimestre precedente e si è assestato sullo stesso livello del quarto trimestre del 2018.   Crescita zero sugli ultimi dodici mesi ed il peggiore risultato trimestrale dal 2013. 

    Con cifre del genere il problema della mancanza di crescita economica avrebbe dovuto dominare il dibattito degli ultimi anni e degli ultimi mesi.   La mancanza di crescita economica avrebbe dovuto essere percepita come l'emergenza del momento.   Non si è certo visto molto che mostrasse una presa di coscienza dell'esistenza stessa di questo problema.   Ho l'impressione che di fronte alla complessità delle riforme di cui abbiamo bisogno il paese ed il governo abbiano rimosso il problema.  Non si vuole parlare più della necessità di rimuovere i tanti ostacoli che frenano la nostra crescita.   Si preferisce andare a caccia di capri espiatori a livello internazionale ed europeo. 

    Ma che il problema dipenda soprattutto dal fatto che gran parte della nostra opinione pubblica non si rende conto della necessità della crescita economica è confermato anche da due aspetti dei dibattiti di questi giorni. 

    Il primo appare nelle reazioni alle proposte di "riapertura" dopo il lockdown di tanti politici, specialmente al livello locale, e nei commenti che si leggono nella stampa e sui social network.   Un mese fa avevo fatto riferimento ai problemi che avremmo dovuto affrontare in questi giorni in un articolo uscito il 23 marzo su Uomini & Business.   Avevo scritto che tra un mese (oggi) o due tutti i paesi europei si sarebbero trovati ad affrontare delle scelte angosciose e che la classe politica doveva preparare l'opinione pubblica a queste scelte.   Avevo scritto che non vedevo però nessun leader europeo farlo tranne Emmanuel Macron. 

    La maggioranza degli italiani sembra volere che la riapertura avvenga il più tardi possibile.   Molti non sembrano rendersi conto che le misure di confinamento, che sono certo efficaci, servono per ridurre il picco dei casi di contagio in maniera da migliorare il rapporto tra il numero di ospedalizzazioni necessarie e la capacità dei servizi sanitari nazionali.    Le misure di contenimento non possono eliminare l'epidemia.   Un confinamento quasi militarizzato come quello imposto dalla Cina può solo "sopprimere" l'epidemia.   La fine dell'epidemia del Covid-19, come di ogni altra epidemia, potrà venire solo dall'immunità di gregge raggiunta con l'aver avuto la malattia o essere stati vaccinati. 

    L'allentamento delle misure di contenimento, più che dall'andamento dei nuovi casi di contagio (cifra tra l'altro molto poco affidabile), dipenderà dalla valutazione che le autorità daranno del rapporto tra necessità di ospedalizzazione previsibili e capacità del servizio sanitario di ogni paese. 

    Tutti i paesi dovranno riaprire pur in presenza di un certo perdurare dell'epidemia.    Un confinamento non può durare fino a quando arriverà il vaccino.   E la gravità della recessione in corso dipenderà direttamente dalla lunghezza del periodo di blocco delle attività.   Sia l'Ocse che la Banca d'Italia hanno preferito indicare le conseguenze sulla crescita economica e l'occupazione in termini di mesi o settimane di lockdown.  

    Recessione non significa, come pensano alcuni, solo meno profitti per le imprese.   Recessione significa soprattutto più disoccupazione.   Le previsioni del FMI indicano circa 750mila disoccupati in più in Italia nel 2020.   Ma c'è da chiedersi se la stima non sia ottimistica .   Eurostat, in un suo rapporto speciale, indica che il settore del turismo, che sarà l'ultimo a beneficiare della "riapertura" e che è oggi completamente bloccato, darebbe lavoro in Italia a più di quattro milioni di persone. 

    L'Italia è stata il primo paese colpito dalla crisi anche se oggi non appare più come il paese più duramente colpito dal Covid-19.   L'Italia è stata comunque il primo paese a decretare il blocco di tutte le attività.   Ci si sarebbe dovuti aspettare che fosse anche il primo paese a sopprimerlo.   Penso proprio che non sarà così. 

    Un'altra conferma dell'orientamento implicito contro la crescita economica che prevale nell'opinione pubblica italiana, e che la distingue da quelle degli altri paesi europei, viene dalla recrudescenza di un fenomeno che Angelo Panebianco ha chiamato "panpenalismo" in un articolo sul Corriere della Sera del 14 aprile scorso.   Ha definito il problema come "la debordante e soffocante presenza del diritto penale in tutti gli ambiti della vita sociale ed economica, a sua volta riflesso della peculiare posizione di forza assunta dalla magistratura inquirente in Italia". 

    Il problema è vecchio.   Chi ha la mia età sarà cresciuto con "Alto gradimento" il programma radiofonico di Arbore e Buoncompagni.   Uno dei personaggi più riusciti era Max Vinella, il giornalista di cronaca nera che riportava dei fatti di cronaca insignificanti in una maniera molto rozza e finiva sempre i suoi servizi elencando una lunga ed incredibile serie di ipotesi di reato che sarebbero state al vaglio degli inquirenti.   Nei limiti di un programma comico-satirico, Arbore e Buoncompagni criticavano questo fatto.   Oggi, tranne nei commenti di alcuni esperti, non vedo molte critiche.   L'intervento strabordante della magistratura sembra riscuotere il plauso della maggioranza dell'opinione pubblica che non si rende conto dei danni che questo provoca. 

    Questa deriva della giustizia ha delle conseguenze molto gravi per la società.   La prima è il fatto che molte inchieste finiscono nel nulla, con delle assoluzioni piene di cui la stampa non ama parlare.   Saranno costate moltissimi soldi e, grazie agli anni della loro durata, avranno rovinato la vita professionale e privata di tante persone.   

    Ma il grosso danno sociale di questa deriva è la paralisi decisionale che essa provoca nella pubblica amministrazione e in moltissime imprese private.   Ci sono spesso tanti errori.   Moltissimi giustificherebbero delle sanzioni che, di solito, non arrivano.   Ma nella maggior parte dei casi si tratta di errori di valutazione, di ritardi nel prendere alcune decisioni, nel non aver scelto le persone giuste, nel non aver creato meccanismi di controllo interni adeguati.   La giustizia penale non ha molte possibilità di prendere posizione su questi errori.   Inevitabilmente tende a concentrarsi su violazioni formali ed evidenziabili in maniera documentabile.    Un manager non è punito, per esempio, per aver messo una persona inadatta a capo, mettiamo, del reparto sicurezza.   Sarà invece indagato e, forse, condannato perché un certo rapporto non è stato trasmesso ad una certa autorità entro una certa data, perché certe istruzioni non sono state diffuse nella maniera precisa prevista da questa o quella norma o per alte violazioni di procedura. 

    Questo porta ad una deriva burocratica della nostra vita amministrativa e di quella delle imprese dove i manager pubblici e privati si devono concentrare sul rispetto formale delle norme e garantirsi il massimo di coperture in caso di inchiesta.   Un esempio di questa deriva viene dal gran numero di pareri chiesti alle società di consulenza su mille problemi di gestione.   Queste consulenze costano moltissimo, sul fondo portano ben poco, ma son preziose per dimostrare di non aver preso da soli una certa decisione, per poter allargare le cerchia delle responsabilità. 

    In tutti i paesi il Covid-19 ha colpito pesantemente i residenti delle residenze per anziani.   È un grosso problema che colpisce e tocca tantissime persone.   In Belgio almeno la metà dei decessi attribuiti al Covid-19 sono avvenuti in queste residenze e in Francia il 40 per cento; in Gran Bretagna si parla di un numero altissimo di decessi nelle case di riposo che non sarebbero nemmeno conteggiati nelle statistiche ufficiali.   In questi paesi, il tema riempie i telegiornali e le pagine dei giornali.   Se ne discute in maniera approfondita.   Forse un giorno ci saranno delle inchieste giudiziarie, ma per ora nessuno le chiede e nessuno ne parla.   Quando guardo i telegiornali italiani vedo che si parla soprattutto del numero delle procure che hanno aperto inchieste, della quantità di fascicoli aperti e dei documenti sequestrati da Guardia di Finanza e Carabinieri.   Mi sembra di essere ritornato ai tempi di Max Vinella. 

    Sarebbe necessario che qualcuno spiegasse ai nostri concittadini che senza crescita economica non si risolve nessun problema   Senza crescita economica non ci può essere una crescita dell'occupazione e dei redditi.   Senza la crescita economica, non ci saranno mai le risorse per un sistema sanitario all'altezza delle sfide che potranno presentarsi.   

    Noi siamo arrivati a questa crisi in una situazione estremamente precaria dal punto di vista economico.   Dobbiamo contrastare la recessione con forti iniezioni di denaro pubblico per sostenere tutti i redditi.   Ma dobbiamo soprattutto mettere mano ai tanti ostacoli strutturali che rallentano la nostra crescita. 

    La nostra economia ha anche mostrato di non essere capace di recuperare come le altre dopo una crisi.   Siamo usciti dalle ultime recessioni meno rapidamente delle altre economie.   Dobbiamo fare gli interventi necessari per cambiare le cose.  Certe riforme strutturali prendono inevitabilmente molto tempo.   Ma invece di nominare dei commissari speciali per questo o quel problema, persone alle quali diamo i poteri di ignorare tante leggi scritte male o eccessivamente restrittive, potremo cominciare a cambiare queste leggi.

    Imprese soffocate dalla burocrazia: in Italia 160 mila norme, in Germania 5.500
    Leggi, decreti e ordinanze costano ogni anno 57 miliardi alle imprese. In soli due mesi 7 decreti (e 170 pagine) per fronteggiare l’emergenza Covid-19
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