Risposte

  • DOVE ABBIAMO SBAGLIATO Per ora deve muoversi il governo. di FABIO COLASANTI | 27/03/2020


    Dopo il mancato accordo di ieri sera – 26 marzo – tra i capi di stato e di governo dell'Unione europea sulle misure economiche da prendere a livello europeo per lottare contro la recessione causata dal Covid-19, si leggono sulla nostra stampa i commenti più disparati, molti dei quali mi sembrano francamente assurdi.

    La delusione per il mancato accordo ha due componenti: una politica e una economica. Quella politica è dovuta al fatto che il lancio di un programma di interventi comuni finanziati in maniera altrettanto comune costituirebbe un gesto simbolico molto importante.

    Quello che serve oggi però sono prestiti, garanzie e sovvenzioni da fare arrivare anche alla più piccola attività, anche ai meno noti lavoratori autonomi. Un ministro italiano ha detto che bisognerebbe aiutare anche chi lavorava in nero ed ha perso il suo reddito. La formulazione può sorprendere, ma riassume bene la natura del compito attuale per le pubbliche autorità.

    Un programma di investimenti finanziato a livello europeo sarebbe una idea interessante, ma servirebbe a sostenere la crescita dal 2022 in poi. Quello che serve oggi sono tantissimi piccoli interventi immediati, già nelle prossime settimane.

    Tutte le cose da fare oggi non richiedono un programma europeo. Le decisioni su chi deve essere aiutato e in che misura deve essere aiutato sono una competenza nazionale e, a volte, una competenza regionale. Quello quindi di cui si discute è il finanziamento di una parte di queste spese attraverso strumenti comuni.

    Hanno ragione gli europeisti che ricordano che il finanziamento comune di un programma di spese – qualunque queste siano – sarebbe un gesto concreto e forte comprensibile dall'opinione pubblica.

    8418472255?profile=RESIZE_930xÈ vero che la solidarietà tra paesi, nel senso di aiuti dai più ricchi ai più poveri, non era prevista nei Trattati degli anni cinquanta e che questa stata introdotta solo verso la metà degli anni settanta (con i "fondi strutturali" per aiutare le regioni povere o con problemi di riconversione). Ma è anche vero che già nei primi accordi esisteva una forma di solidarietà che consisteva nel finanziamento comune di spese decise in comune indipendentemente dal fatto che alcuni paesi ne avrebbero beneficiato più di altri. Chi vuole un rafforzamento dell'integrazione europea può quindi legittimamente essere deluso dal mancato raggiungimento di un accordo.

    In tempi normali un finanziamento a livello europeo di nuove spese non dovrebbe essere fatto con nuovo debito, ma nella situazione attuale il finanziamento attraverso la creazione debito è la sola risposta razionale e possibile.

    Si potrebbe anche immaginare un finanziamento monetario attraverso le banche centrali. Di per se non sarebbe un'assurdità se fatto in maniera ragionevole, una tantum e in risposta ad una crisi eccezionale quale quella attuale. Il finanziamento monetario però sarebbe visto – non senza giustificazioni – come un precedente pericoloso. Per di più una decisione esplicita in questa direzione richiederebbe una modifica dei Trattati.

    Ma quello che più mi spinge a scrivere questo commento è la rappresentazione errata dei termini in cui si pone il problema dal punto di vista economico.

    Moltissimi commenti abbondano in argomentazioni su punti che sono già acquisiti e sui quali c'è un accordo unanime. Queste affermazioni, intenzionalmente o no, hanno il risultato di presentare in termini caricaturali le posizioni di chi si oppone alle richieste italiane. Molti altri mostrano di non comprendere le ragioni delle reazioni degli altri capi di stato e di governo. Altri ancora non sembrano rendersi conto delle ragioni per le quali stiamo avendo queste difficili discussioni; ragioni che sono ben note a tutti i 27 leader che hanno partecipato alla riunione virtuale.

    Che tutti i paesi – europei e non - debbano spendere una barca di soldi per diminuire l'impatto della recessione è un punto assodato e non è in discussione.

    Che tutti i paesi dell'Unione europea e dell'eurozona debbano vedere un forte aumento dei loro disavanzi e del loro rapporto debito pubblico/PIL è anche un punto acquisito. La clausola sulle "condizioni eccezionali" del Patto di Stabilità e del Fiscal Compact è stata attivata proprio per questo.

    Quello di cui si sta discutendo è se sia necessario lanciare un piano di aiuti per Italia, Spagna e forse uno o due altri piccoli paesi. Nove paesi, compresi la Francia e il Lussemburgo, pensano sia opportuno.   Si sta anche discutendo se questi aiuti debbano comportare una certa condizionalità (come si è fatto nel passato) o no.

    Finora le proposte in discussione sono state l'emissione di eurobond o la concessione di un prestito del MES. Entrambe queste soluzioni avrebbero il vantaggio per la Spagna e, soprattutto, per l'Italia di permettere a questi paesi di indebitarsi a tassi di interesse significativamente più bassi di quelli che possono oggi ottenere sui mercati emettendo loro titoli nazionali.

    Ma l'idea degli eurobond è difficile da far accettare in Germania perché l'opinione pubblica li associa - erroneamente - ad una mutualizzazione del debito pubblico esistente dei vari paesi. Un prestito del MES senza condizioni viene visto dagli olandesi come una cosa inaccettabile, un qualcosa di quasi equivalente al perdono cattolico; si permetterebbe al peccatore di lavarsi dei suoi peccati senza nemmeno l'obbligo di recitare venti "Padre nostro".

    Ieri Daniel Gros ha proposto qualcosa di più trasparente e meno complicato: un trasferimento una tantum a Spagna e Italia. Nel corso di una discussione pubblica ha immaginato che si potesse lanciare un prestito sui mercati garantito dal bilancio dell'Unione europea, che i fondi così raccolti fossero donati all'Italia e alla Spagna e che il rimborso del prestito fosse effettuato, per esempio in venti anni, a partire dal bilancio europeo (che dovrebbe essere aumentato un poco). Si possono immaginare molte varianti di questa idea. Ma avrebbero tutte il vantaggio di esplicitare quello di cui si sta effettivamente discutendo senza nascondersi dietro termini roboanti e senza naufragare contro gli Scilla e Cariddi di tante preoccupazioni o ossessioni nazionali.

    Ma la maggior parte dei commenti che ho letto dimentica le ragioni per le quali ci troviamo oggi a discutere di aiuti ad alcuni paesi. Per di più, non è sicuro che la crisi attuale costituisca lo shock asimmetrico di cui parlano gli economisti. Oggi la crisi sembra aver colpito soprattutto l'Italia e la Spagna (il numero di casi di contagio per milione di abitanti dei due paesi è, oggi 27 marzo, quasi lo stesso), ma tra qualche settimana potremmo scoprire che altri paesi saranno stati colpiti in maniera più forte di noi.

    Non possiamo dimenticare che oggi la Germania ha potuto annunciare maggiori spese di bilancio per circa 150 miliardi di euro perché negli ultimi sette anni ha (sbagliando secondo me) accumulato avanzi e ripagato 200 miliardi di euro di debito pubblico.

    Noi invece (per tanti motivi dovuti alla debolezza strutturale della nostra economia da tanti decenni, alla crisi del 2012 e alla debolezza del nostro sistema politico) negli ultimi sette anni abbiamo aumentato il nostro debito pubblico di 300 miliardi.

    La vera differenza che è alla base delle discussioni su eventuali aiuti alla Spagna e all'Italia sono le condizioni economiche in cui questi due paesi si trovano a  fronteggiare il coronavirus. Grazie a santa BCE lo spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi è oggi attorno ai 160 punti di base. Quello spagnolo è a circa 90 punti. Questi valori riassumono l'opinione degli investitori sulla solidità delle finanze pubbliche dei due paesi rispetto ai paesi ai quali oggi ci rivolgiamo per un aiuto e quindi sulle implicazioni di un ulteriore indebitamento di Spagna e Italia.

    In particolare, noi nel corso degli ultimi anni abbiamo aumentato la spesa pubblica per la sanità in proporzione al PIL in maniera leggerissima, molto meno degli altri paesi europei. Vedere il grafico che arriva solo fino al 2017 visto il ritardo con il quale sono disponibili i dati omogenei per tutti i paesi sulla spesa pubblica per settore di attività. Questo è, in parte, una conseguenza delle politiche economiche inadeguate che abbiamo seguito per tanti decenni.

    Nella Germania c'è una sbagliatissima ossessione culturale contro il fare debiti. Un governo che fa debiti è visto come un governo incapace. La coalizione attuale ha vinto due elezioni con la promessa di tenere il bilancio in pareggio ("Schwartze Null").

    Noi siamo vittime di una ossessione culturale altrettanto sbagliata: l'idea che si possano fare disavanzi di bilancio sempre e che la crescita nel medio/lungo termine possa essere "comprata" con i disavanzi. Negli ultimi sessanta anni abbiamo sempre avuto disavanzi di bilancio, anche quando la crescita economica era accettabile o addirittura buona.

    J. M. Keynes non ha mai detto questo. Ci ha insegnato che durante una recessione si deve sostenere l'economia con la spesa in disavanzo, ma che quando la crescita ritorna si devono avere avanzi di bilancio per ripagare il debito fatto durante la recessione.

    Oggi siamo di fronte ad una crisi enorme, abbiamo bisogno di tutto l'aiuto che possiamo avere. Ma questo ci servirà solo se capiremo la necessità di cambiare rotta rispetto agli errori del passato.
    Io spero che degli aiuti consistenti siano decisi rapidamente, ma sono convinto che sia nel nostro interesse che questi siano accompagnati da qualche condizione sulla maniera come gli aiuti saranno spesi o di politica economica.

    Il mio atteggiamento è simile a quello che è prevalso nelle delegazioni italiana e belga quando la Germania ha chiesto l'inserimento del Patto di stabilità nell'unione monetaria. Entrambe le delegazioni si sono evidentemente opposte alla formulazione iniziale dei valori di riferimento; questa avrebbe escluso Belgio e Italia dall'unione monetaria per molti anni. Ma ufficiosamente le due delegazioni si sono rallegrate per la richiesta di una qualche regola sui bilanci pubblici; l'hanno vista come la possibilità di avere un aiuto esterno nelle battaglie che conducevano internamente con il resto dei loro mondi politici per avere un po' più di ragionevolezza nella condotta della politica di bilancio.

    Sicuramente questa crisi dovrà portare a ripensare tanti aspetti del funzionamento dell'unione monetaria europea. Ma, per noi italiani, è molto più importante che porti
    a cambiare la maniera come la maggioranza dell'opinione pubblica italiana vede la politica economica.

    Ma non sono ottimista. Nel 2012 la metà dei paesi europei è andata in recessione. Ma non tutti i paesi sono stati colpiti dalle paure scatenate dal default greco, solo i paesi con finanze pubbliche pericolanti sono stato colpiti direttamente dalla crisi. Tutti questi paesi hanno dovuto fare quello che ha fatto da noi il governo Monti pur sapendo che questo li avrebbe portati in recessione. Ma ho l'impressione che ben pochi nel nostro paese abbiano capito cosa sia successo e ne abbiano tratto degli insegnamenti.

This reply was deleted.