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  • IL CONFINAMENTO HA UN COSTO

    Prevedibili e previsti cali consistenti del Pil, più che durante le guerre.

    di FABIO COLASANTI | 03/05/2020 

    Il confinamento è necessario, ma ha costi molto alti
     

    Un problema tutto sommato secondario, e dovuto forse ad un errore di comunicazione, mi spinge a ritornare su alcune debolezze della maniera come la scelta del confinamento è stata spiegata agli italiani.   L'occasione me la fornisce una notizia ripresa da vari organi di stampa secondo la quale il governo vorrebbe permettere gli spostamenti tra le regioni (e quindi anche il turismo) solo quando il tasso di contagio avesse raggiunto un valore di 0.2.   Se le cose stessero in questi termini, saremmo di fronte ad un errore abbastanza grosso. 

    Quando la crisi del Covid-19 è esplosa, i governi si sono trovati di fronte ad una scelta angosciosa: lasciare che l'epidemia seguisse il suo corso naturale, vista l'assenza di cure specifiche e di un vaccino, o prendere delle costosissime misure di confinamento per rallentarne lo sviluppo.   Il confinamento (o "lockdown" o "stare a casa") è stato subito proposto da molti specialisti come una maniera per ridurre l'altezza del picco dei casi in maniera, se possibile, da tenere il numero delle richieste di ospedalizzazione al di sotto delle capacità del sistema sanitario di ogni paese. 

    Praticamente tutti i paesi hanno fatto la scelta del confinamento, anche i paesi che non hanno preso misure coercitive.    La scelta era ovvia.   Nessun governo avrebbe potuto permettersi di assistere ad un alto numero di decessi dovuto ad una inadeguatezza visibile del proprio sistema sanitario senza poter dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitarlo. 

    Il confinamento ha funzionato e funziona, anche se in alcuni paesi chiaramente non si è riusciti a tenere il numero delle richieste di ospedalizzazione, soprattutto in terapia intensiva, nei limiti delle capacità del servizio sanitario nazionale.   Ma senza il confinamento lo squilibrio sarebbe stato molto più forte.   Altri paesi hanno invece raggiunto questo obiettivo.   Perfino il Belgio, il paese con il più alto numero di decessi rispetto alla popolazione (secondo le cifre ufficiali che presentano però debolezze molto forti), non ha mai esaurito la disponibilità di posti-letto e quella di posti-letto in terapia intensiva. 

    Ma il confinamento ha dei costi altissimi.   Il confinamento ha provocato una paralisi della vita sociale ed economica mai vista prima.   L'analisi delle prime stime sull'andamento del PIL nel primo trimestre del 2020 indicano che nel secondo trimestre vedremo in quasi tutti i paesi cadute di circa il 15 per cento o più rispetto al trimestre corrispondente del 2019.   Nemmeno durante le due guerre mondiali abbiamo visto un crollo delle economie di queste dimensioni.   

    Tutte le recessioni colpiscono soprattutto i più deboli, ma la paralisi provocata dal confinamento colpisce i più deboli in maniera ancora più forte che le recessioni che abbiamo conosciuto finora.   La recessione in corso colpisce soprattutto i lavoratori autonomi, gli artigiani, i piccolissimi imprenditori, i lavoratori precari e chi lavorava in nero.   I giornali ci parlano dell'aumento fortissimo del numero di persone che si rivolgono alle associazioni caritative che distribuiscono beni alimentari e pasti.   Abbiamo visto alla televisione le file chilometriche delle persone che negli Stati Uniti cercano pacchi cibo e abbiamo letto dell'aumento fortissimo delle persone che nel nostro Mezzogiorno si rivolgono ai banchi di pegno. 

    Ma questo non è che il picco visibile dell'iceberg.   Il disagio sociale creato da una grossa recessione si traduce anche in un forte aumento dei decessi per varie malattie, soprattutto quelle oncologiche, dovuto alle difficoltà di accesso alle cure.   Uno studio pubblicato nel 2016 dalla prestigiosa rivista The Lancet (che sottopone gli articoli al giudizio di esperti anoni... attribuisce alla recessione del 2008/2009 un aumento di 260mila decessi solo per cancro nei paesi dell'Ocse.   Sicuramente la recessione avrà provocato anche un aumento della mortalità dovuta ad altre malattie.  In questa crisi ci si aggiunge il fatto che molte persone non vanno negli ospedali per paura di contrarvi il coronavirus.   Uno studio pubblicato nel 2013 sul British Medical Journal (altra rivista seria) stima in circa 5000 l'aumento dei suicidi durante la stessa recessione in 27 paesi europei e 18 paesi americani.  E il confinamento ha anche un prezzo molto alto in termini di salute mentale delle persone, di aumento delle violenze domestiche e dell'isolamento delle persone anziane. 

    La scelta della "massima prudenza" non è una scelta ovviamente superiore a quella di una "ragionevole prudenza".   La scelta della massima prudenza è addirittura un grave errore politico.   Non esiste alcuna giustificazione per l'imposizione di un grado di confinamento superiore al necessario. 

    I governi devono contemperare esigenze diverse.   Gli esperti rispondono alle domande che sono loro poste.   E purtroppo molte domande sono spesso formulate in una maniera che non può che influenzare le risposte.   I governi devono raccogliere tutte le opinioni possibili e scegliere poi la strada che contempera al meglio le diverse esigenze. 

    Il confinamento serve, come già ricordato, per ridurre il picco dei casi di ospedalizzazione.   Nei paesi di lingua inglese (e anche in quelli come il Belgio dove questa lingua è utilizzata spesso per superare problemi linguistici interni), lo slogan che è stato utilizzato è "Flatten the curve" (appiattire la curva).   Il confinamento non è mai stato giustificato come un mezzo per eliminare o sopprimere l'epidemia.   Questo non sarà possibile fino a quando una grossa percentuale della popolazione sarà immunizzata per aver contratto la malattia o esserne stata vaccinata.   Eppure la mancanza di chiarezza nella comunicazione pubblica ha portato moltissimi italiani a credere che il confinamento serva proprio a combattere l'epidemia.   Una breve visita di uno qualsiasi dei social network più popolari conferma questa conclusione.    E questa convinzione sbagliata rende per alcuni incomprensibili le misure di soppressione progressiva del confinamento, le fa apparire come un arrendersi alla malattia. 

    Per tenere sotto controllo il più possibile il numero delle ospedalizzazioni future tutti gli specialisti ricordano che bisogna seguire l'andamento del tasso di contagio per evitare una crescita esponenziale dei casi di infezione.  L'Istituto Superiore di Sanità indica questo tasso come il “numero di riproduzione di base” che rappresenta il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ciascun individuo infetto".   L'obiettivo dell'evitare una crescita esponenziale del numero di contagi si raggiunge quando questo coefficiente scende sotto l'unità.   Un valore di questo coefficiente al di sotto dell'unità non ci dice che la malattia sia scomparsa.   Anche prendendo le stime più alte che circolano sul numero "vero" di contagi si arriva alla conclusione che almeno 55 milioni di italiani ancora non hanno contratto la malattia e quindi che esiste un potenziale enorme per lo sviluppo dell'epidemia.   

    Un valore del tasso di contagio inferiore all'unità ci dice che i comportamenti tenuti dalla popolazione di una certa regione o di un certo paese sono sufficientemente attenti da non permettere una forte diffusione dei contagi.   Ma anche con un valore di questa cifra chiave inferiore all'unità ci saranno ancora molti contagi e alcuni (troppi) decessi.   Un valore di R0 inferiore all'unità dice che stiamo convivendo correttamente con il virus.   L'Istituto Superiore di Sanità e la Fondazione Bruno Kessler ci informano che R0 è oggi inferiore all'unità in tutte le regioni italiane (nelle regioni più colpite siamo tra lo 0.6 e lo 0.8). 

    Le misure di uscita da confinamento cambiano certo i nostri comportamenti ed è quindi necessario seguire da vicino l'andamento di questo coefficiente.   Bisogna però rendersi conto che l'impatto di ogni cambiamento delle regole non può tradursi nelle statistiche e nelle stime dello R0 prima di 10/14 giorni dalla loro entrata in vigore. 

    Ma far dipendere le possibilità di viaggio tra regioni ed il turismo dal raggiungimento di un valore di 0.2 è chiaramente esagerato e irrealistico.   L'informazione che questa sarebbe l'intenzione del governo è apparsa in molti organi di stampa (anche con le stesse formulazioni), ma non è stata attribuita a nessun esponente di governo o esperto.   Probabilmente si tratta di un briefing informale (velina) del servizio della comunicazione di Palazzo Chigi.   Secondo quanto riportato dai giornali, su questo punto il governo avrebbe deciso di allinearsi completamente sul parere scientifico (ossia alla risposta data alla domanda su quale sia la miglior maniera di sopprimere l'epidemia).   Gli articoli non spiegano perché il governo avrebbe deciso in questo caso di non discostarsi in una certa misura dal parere scientifico, cosa che ha giustamente fatto in tanti altri campi. 

    Rimane il fatto che, secondo la stampa, durante la riunione dei ministri del turismo del 27 aprile scorso, mentre alcuni paesi premevano per una riapertura delle frontiere sufficientemente rapida da salvare la stagione estiva (che ci porterebbe, anche nelle ipotesi più prudenti, oltre dieci miliardi di euro), il nostro paese sarebbe stato tra i più recalcitranti e prudenti.  Ho paura che dietro a questa prudenza eccessiva ci sia la posizione di alcune regioni del nostro sud.   Ma l'Italia non è l'unico paese federale e anche in Spagna e in Germania ci sono delle situazioni molto diverse per quanto riguarda l'epidemia da Covid-19.   In Spagna, si va dai 7 decessi per 100mila abitanti dell'Almeria ai 125 di Madrid.   In Germania, si va dai 43 casi di contagio su 100mila abitanti del Mecklenburg ai 329 della Baviera. 

    La stampa ci ha informati della scomparsa, a causa del Covid-19, di molte personalità conosciute.   Dal mio punto di vista, la vittima più illustre del Covid-19 nel nostro paese è il mito del sistema sanitario italiano "una eccellenza mondiale".   Abbiamo visto medici e infermieri eroici.   Ma il "sistema sanitario" nel suo complesso ha mostrato dei limiti organizzativi grossi, una mancanza di preparazione, un coordinamento insufficiente e, nell'insieme, delle falle vistose.   E questo soprattutto nelle regioni che erano considerate tra le migliori da questo punto di vista.   Ci vorranno molti anni per avere degli studi affidabili che spieghino l'alta letalità del Covid-19 in Spagna e in Italia, ma una responsabilità anche dei sistemi sanitari di questi paesi non è da escludere. 

    Tutti i paesi europei hanno dei sistemi sanitari nazionali che si fanno carico del grosso del costo delle cure mediche.   È una cosa di cui siamo giustamente orgogliosi.   Questi sistemi sanitari sono organizzati secondo due modelli identificati dal nome del loro creatore: il modello "Bismark" e il modello "Beveridge".   Nel primo, l'assistenza passa attraverso casse malattia che rimborsano le spese sanitarie (con un forte intervento pubblico) e i servizi (soprattutto gli ospedali) sono offerti da organizzazioni di diritto privato (anche se quasi sempre università o associazioni religiose).   Nel secondo, il settore pubblico gestisce direttamente i servizi offerti.    I modelli Beveridge (Spagna, Italia, Gran Bretagna) non sono usciti bene dalla prova Covid.   Questo è dovuto soprattutto al fatto che questi sistemi offrono meno posti letto e meno attrezzature.   I sistemi Bismark (Germania, Svizzera, Belgio, Olanda, Scandinavia) invece hanno retto molto meglio.   La concorrenza che esiste in questi paesi tra chi offre i servizi porta ad investire di più in attrezzature e posti letto.    

    Ma non tutto è così chiaro.   Il Belgio (sistema Bismark) non ha avuto bisogno di utilizzare tutti i posti letto e i ventilatori di cui dispone, ma si è rivelato catastrofico nella capacità di effettuare un numero adeguato di test e, nella precipitazione del momento, ha trascurato le case di riposo (come anche altri paesi, ma non la Germania).   Gli studi ci dovranno anche spiegare perché non c'è una correlazione chiara tra la severità delle misure di confinamento prese (Italia, Spagna, Belgio) e l'andamento effettivo dell'epidemia.   Olanda e Svezia, che non hanno imposto il confinamento, stanno avendo risultati migliori della media. 

    La Svizzera ha oggi un numero di contagi rispetto alla popolazione praticamente identico a quello italiano, ma ha un tasso di letalità molto più basso (201 per milione di abitanti contro i 475 dell'Italia).   E le stranezze non finiscono qui.   Come ha fatto il Portogallo a riuscire a fare molti più test di qualsiasi altro paese europeo?  Il fatto che abbia solo 100 decessi per milione di abitanti è dovuto a questo ?   Sappiamo invece che la Grecia avendo imposto il confinamento molto rapidamente - più rapidamente di qualsiasi altro paese rispetto all'apparire dei primi casi - ha oggi pochissimi contagi e solo 14 decessi per milione di abitanti.    Questa crisi darà lavoro a migliaia di ricercatori per molti anni. 

    Il governo dovrebbe spiegare più chiaramente come stanno le cose e smettere di parlare di scelta della "massima prudenza".   Servirebbe un uso maggiore delle analisi di impatto per le misure che si vogliono prendere.   Serve meno emotività.    Ma questa ricerca di razionalità non è aiutata dalla nostra televisione di servizio pubblico.  Da mesi l'ottanta/novanta per cento dei telegiornali è dedicata al commento delle cifre dell'epidemia.   Come Jean Quatremer ha recentemente fatto notare in un suo articolo su Libération, se la televisione francese ogni giorno aprisse i suoi notiziari con la lista dei decessi delle ultime 24 ore per cancro, infarto, incidenti stradali e incidenti sul lavoro la cosa non renderebbe la Francia un paese dove la gente vorrebbe vivere. 

    In ogni caso, il nostro governo dovrebbe utilizzare il fatto che i nostri ospedali adesso stanno cominciando a respirare per lanciare un loro sostanziale rafforzamento.   Il rischio di una nuova forte ondata di contagi non può essere escluso.   Per questo rafforzamento sono disponibili 36 miliardi di euro a un tasso di interesse di poco superiore allo zero.   Sarebbe veramente stupido non utilizzarli.   Alla fine della settimana conosceremo le modalità tecniche precise di questa nuova linea di credito del MES. 

    Non dimentichiamo poi che è facile chiedere un confinamento molto rigido e protratto nel tempo quando si ha un reddito che non è toccato dalla crisi (pensioni e salari pubblici) e quando si vive in case/appartamenti confortevoli.

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