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"Che io sappia è tutto molto legato a Fort Knox, cioè il luogo dove "materialmente" è "stoccata" la ricchezza delle nazioni, cioè i lingotti d'oro o sbaglio? Insomma, gli USA dovrebbero uscire da questa logica da primi della classe e finalmente convertirsi ad un sistema in cui la democrazia esca da una fase di dominio larvato (USA) verso una fase in cui sia piuttosto il mondo globale a dettare le regole della convivenza pacifica tra i popoli. Ne va della sopravvivenza di Gaia e di noi tutti. L'era delle superpotenze va superata. Rendiamoci conto che l'attuale importazione della guerra in Europa fa parte delle politiche dei piani alti sia degli USA che della Russia. Creano un conflitto dirompente alle nostre porte per non crearlo apertamente tra di loro. Il gioco è evidente. Ricordiamoci, inoltre, che dalle sponde libiche i nuovi padroni dello "scatolone di sabbia" ci guardano e ci controllano..."
Che mi ha spinto a scrivere questa risposta.
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La “ricchezza delle nazioni” non è stoccata in Fort Knox. In Fort Knox c’è solo una parte delle riserve d’oro degli Stati Uniti. Le riserve d’oro degli stati rappresentano oggi una quantità trascurabile rispetto ai flussi generati dal PIL L’Italia è uno dei paesi che ha le riserve d’oro più alte tra i paesi del G7 eppure le riserve auree italiane valgono circa cento miliardi di euro a fronte di un PIL italiano del 2021 di circa 1775 miliardi di euro. Da anni c’è ben poco movimento d’oro nelle riserve dei paesi.
L’idea di avere uno stato di diritto internazionale invece della legge del più forte ha più di cento anni. In maniera concreta è stata propugnata, anche se in maniera un po’ idealista, soprattutto dal presidente Woodrow Wilson verso la fine della prima guerra mondiale. Ha cercato di applicarla durante la negoziazione dei Trattati di Versailles e la sua idea è poi sfociata nella Società delle Nazioni.
La Società delle Nazioni è stata quasi del tutto inefficace (anche per la non adesione degli Stati Uniti che erano il paese che l’aveva proposta).
La seconda guerra mondiale ha confermato agli americani che gli europei erano incapaci di regolare le loro dispute in maniera civile. Questo ha spinto gli americani a proporre le Nazioni Unite, che non per caso sono state fondate a San Francisco e hanno la loro sede a New York. Le Nazioni Unite – e tutto il sistema di accordi che hanno incoraggiato – ci hanno dato quel po’ di “stato di diritto” che abbiamo a livello internazionale. E’ poco, ma è sempre molto di più di quanto abbiamo avuto precedentemente nel corso della storia.
Il partito democratico americano è poi il partito che ha avuto la sensazione di dover portare avanti il compito che gli USA si erano assunti nell’interesse dell’ordine mondiale. Il partito repubblicano è stato invece molto più isolazionista e non ha mai voluto che gli Stati Uniti si facessero carico dell’ordine mondiale.
Negli ultimi anni abbiamo visto i democratici esitare tra l’isolazionismo, che è molto popolare nell’opinione pubblica americana, e la riaffermazione dei valori fondamentali americani (che praticamente coincidono con i nostri). Questo ha portato Joe Biden a ritirarsi dall’Afganistan a qualsiasi prezzo e, al tempo stesso, a riaffermare verbalmente l’importanza dei principi di democrazia e di libertà senza per questo impegnarsi molto a livello militare. Il vecchio adagio sul parlare “softly” e portare un grosso bastone ha lasciato il posto allo strillare senza portare nessun bastone. Molti dei nostri problemi con la Russia nascono da questo.
Ma quando leggo che la “attuale importazione della guerra in Europa” farebbe parte delle “politiche dei piani alti sia degli USA che della Russia” mi cascano le braccia. La storia non sembra aver insegnato nulla. Un’affermazione del genere è fuori dal mondo.
Sulle motivazioni di Putin sono state scritte tonnellate di documenti e lui stesso ci ha spiegato le sue idee in tanti discorsi e articoli che ha pubblicato. Il problema è che non lo abbiamo preso sul serio. Abbiamo considerato tutto quello che diceva come delle cose fuori dal mondo e le sue minacce ci sono sembrate delle follie che non avrebbe mai messo in opera. Adesso invece sappiamo che ci credeva e ha cominciato a fare quello che aveva annunciato.
Agli Stati Uniti si possono fare tanti rimproveri. Ma hanno creduto alle minacce di Putin molto più degli europei. Quelli che si sono rifiutati di prendere sul serio Putin sono stati soprattutto il governo tedesco e quello italiano. Si può rimproverare agli Stati Uniti una certa ingenuità nel credere che la democrazia possa essere messa su militarmente come era stato fatto in Germania, in Giappone e in Italia. Ma presentare la guerra in Ucraina come qualcosa “voluto” da Stati Uniti e Russia è un insulto all’intelligenza. Al massimo si possono fare rimproveri sul non aver capito che conseguenze potevano avere certe azioni o certe affermazioni. Ma noi che abbiamo interpretato quello che Putin ha detto per anni peggio di molti altri siamo gli ultimi a poter fare critiche del genere.
L’invasione dell’Ucraina è il risultato di un processo intellettuale nelle testa di Vladimir Putin cominciato tantissimi anni fa. Non ha detto quasi nulla contro l’allargamento della Nato all’Est nel 2002/2004 che ha portato la Nato ad avere un lungo confine diretto con la Russia (tre paesi baltici). Ha espresso il suo dispiacere per questo allargamento in un discorso alla conferenza sulla sicurezza di Monaco nel 2007. Ma doveva rendersi conto che l’esercito russo era in uno stato penoso che non gli permetteva di usarlo come minaccia. E’ stato poi preso dalla fine della guerra in Cecenia e da quelle in Georgia, nella Transnistria, in Crimea e nel Donbass. Nel corso degli ultimi anni deve aver pensato di avere un esercito più efficace (nel corso degli ultimi anni ha speso per la difesa – in proporzione al PIL – tre volte quello che spendiamo noi nonostante un PIL pro-capite russo che è circa il 40 per cento di quello italiano). Ed ha deciso di invadere l’Ucraina già nel 2021.
Non vedo possibilità di accordo su di un rapido armistizio. Putin non vorrà mai parlare con Zelesny che per lui è il presidente di uno stato che non dovrebbe esistere e che fa parte della clicca “anti-Russia che va denazificata. Vuole il controllo totale dell’Ucraina e poter fare un accordo con un governo fantoccio che abbia sostituito quello attuale.
L’invasione dell’Ucraina ha cambiato la storia europea. Ha soprattutto dimostrato l’assoluta necessità della Nato. Un recente sondaggio in Finlandia ha mostrato che il 52 per cento dei finlandesi vorrebbe entrare nell’alleanza con solo un 28 per cento di contrari.
Già prima dell’invasione dell’Ucraina l’Italia aveva la strana caratteristica di essere tra i grandi paesi europei quello più favorevole alla Russia.
Il “da fare” è complesso. Io sono un po’ preoccupato dalle promesse avventate che vengono fatte all’Ucraina di ingresso nell’UE. Abbiamo una lunga storia di promesse di questo tipo non mantenute. Abbiamo fatto balenare l’ingresso nell’UE alla Turchia nel 1963. Nel 2003, a Salonicco, abbiamo promesso l’adesione ai paesi dei Balcani occidentali che dovranno aspettare ancora molto tempo.
Dopo la caduta del muro, si è posto il problema degli allargamenti all’Est. La riflessione ci ha portati alla conclusione: “Si. Ma dopo un approfondimento dell’UE”. L’approfondimento non c’è stato e abbiamo dovuto accontentarci del trattato di Lisbona. Abbiamo fatto l’allargamento lo stesso e adesso abbiamo i problemi di Polonia e Ungheria che non sappiamo come risolvere. Non dimentichiamo che anche le corti costituzionali tedesca e italiana hanno detto – in maniera diversa – che le costituzioni nazionali contengono dei limiti alla legislazione UE.
Ammettere l’Ucraina significherebbe dover far entrare nell’UE anche tutti i paesi che sono oggi in coda. Sono tutti molto più avanzati dell’ucraina. Rifacciamo lo stesso errore di venti anni fa ? Io sono contrario.
Risposte
Leggetevi anche quest'articolo che gira sulla rete e che ci parla degli stretti legami dell'Italia con Putin e l'economia russa, nel senso dell'import e dell'export. Che ora ci si faccia credere che tutto verrà risolto dall'allineamento con la Nato e con la sua guida, gli USA, per una politica "democratica" di rivulsa della violenza di Mosca ha il sapore di qualcosa di "déjà vu". Si prepara una guerra di vasta portata e la si ammanta con un involucro chiamato "pace", ma il contenuto è diverso, purtroppo...
https://www.money.it/Caso-Lavrov-Farnesina-Arcore-Italia-rischia
Marcello,
non capisco il tuo interesse per questo articolo. Oltre a tutto viene da un sito di nessunissima affidabilità. E' un fatto risaputo e assodato che molti hanno cercato di illudersi nel passato che la Russia di Putin non fosse un paese pericoloso e che avessero cercato di farci affari.
L'Italia, grazie sicuramente a Berlusconi, è stata uno dei paesi più "filo-russi". I governi Berlusconi ci hanno anche lasciato la nostra alta dipendenza dal gas russo.
Meno male che adesso abbiamo aperto gli occhi.
Caro Fabio, dovremo parlare anche di chi e come quello che tu stesso scrivi era un esercito "malridotto" come il russo si sia procurato "armi e bagagli". Chi sono i fornitori? I consumatori (i militari putiniani li conosciamo). Da dove provengono queste armi? Non sarà che gliele abbiamo fornite proprio noi, occidentali allo sbando? Chi è senza colpa scagli la prima pietra, chi lo diceva?
Con amicizia,
Marcello
Marcello,
la Russia produce armi. E' un grosso esportatore di armi. I carri armati e i missili che ha li produce lei stessa. E' però possibile che la loro produzione dipenda da prodotti intermedi importati. Non ho informazioni su di questo.
La Francia aveva però accettato di produrre un paio di navi da guerra per la Russia, ma le consegne sono ora state bloccate.
Hai informazioni su eventuali altre vendite di armi alla Russia ?
Dunque, riepiloghiamo. Durante la "guerra fredda" ci furono tentativi anche da parte del Patto di Varsavia di creare dei rapporti di buon vicinato tra i due blocchi. Parlo di prima della famigerata" dottrina Breznev". Non se ne fece nulla. Poi i vari programmi Phare e Tacis, secondo alcuni conoscitori, funzionari dell'UE, servirono anche a pagare gli stipendi agli statali in "bolletta" dei ministeri russi. Ora vorrei sapere: ma perchè questa collaborazione non è andata a buon porto?
Uno scambio interessante tra Gideon Rachman e Martin Wolf
Ed un altro testo molto interessante.
The new Russian cult of war
The Economist 26 March 2022
On March 22nd, in a penal colony 1,000km north-east of the front lines around Kyiv, Alexei Navalny, the jailed leader of Russia’s opposition, was sentenced to another nine years imprisonment. To serve them he will probably be moved from Vladimir, where he has been kept for more than a year, to a yet harsher maximum-security jail elsewhere.
The crime for which he was sentenced is fraud. His true crime is one of common enterprise with that for which the people of Ukraine are now suffering collective punishment. The Ukrainians want to embrace many, if not all, the values held dear by other European nations. Mr Navalny wants the same for Russia. Vladimir Putin cannot countenance either desire. As Dmytro Kuleba, Ukraine’s foreign minister, told The Economist, “If Russia wins, there will be no Ukraine; if Ukraine wins, there will be a new Russia.” That new Russia is as much a target of Mr Putin’s war as Ukraine is. Its potential must be crushed as surely as Mr Navalny’s.
This crusade against a liberal European future is being fought in the name of Russkiy mir—“the Russian world”, a previously obscure historical term for a Slavic civilisation based on shared ethnicity, religion and heritage. The Putin regime has revived, promulgated and debased this idea into an obscurantist anti-Western mixture of Orthodox dogma, nationalism, conspiracy theory and security-state Stalinism.
The war is the latest and most striking manifestation of this revanchist ideological movement. And it has brought to the fore a dark and mystical component within it, one a bit in love with death. As Andrei Kurilkin, a publisher, puts it, “The substance of the myth is less important than its sacred nature…The legitimacy of the state is now grounded not in its public good, but in a quasi-religious cult.”
The cult was on proud display at Mr Putin’s first public appearance since the invasion—a rally at the Luzhniki stadium packed with 95,000 flag-waving people, mostly young, some bused in, many, presumably, there of their own volition. An open octagonal structure set up in the middle of the stadium served as an altar. Standing at it Mr Putin praised Russia’s army with words from St John’s gospel: “Greater love hath no man than this, that a man lay down his life for his friends.”
His oration, delivered in a $14,000 Loro Piana coat, made much of Fyodor Ushakov, a deeply religious admiral who, in the 18th century, helped win Crimea back from the Ottomans. In 2001 he was canonised by the Orthodox church; he later became the patron saint of nuclear-armed long-distance bombers. “He once said that the storms of war would glorify Russia,” Mr Putin told the crowd. “That is how it was in his time; that is how it is today and will always be!”
A cathedral dome 19.45 metres across
In both his broad appeals to religion and his specific focus on the saintly Ushakov Mr Putin was cleaving to Stalin’s example. After the Soviet Union was attacked by Germany in 1941, the sometime seminarian turned communist dictator rehabilitated and co-opted the previously persecuted Orthodox church as a way of rallying the people. He also created a medal for outstanding service by naval officers called the order of Ushakov and arranged for his remains to be reburied.
This was not a mere echo or emulation; there is a strand of history which leads quite directly from then to now. Links between the church and the security forces, first fostered under Stalin, grew stronger after the fall of Communism. Whereas various western European churches repented and reflected after providing support for Hitler, the Moscow Patriarchate has never repented for its collusion with Stalin in such matters as the repression of Ukrainian Catholics after 1945.
The allegiance of its leaders, if not of all its clergy, has now been transferred to Mr Putin. Kirill, the patriarch of the Russian Orthodox church, has called his presidency “a miracle of God”; he and others have become willing supporters of the cult of war. An early indication of this possibility was seen in 2005, when the orange and black ribbons of the Order of St George, a military saint venerated by the Orthodox church, were given a new pre-eminence in commemorations of the 1941-45 struggle against Germany, known in Russia as the “great patriotic war”. Its garish culmination can be seen in the Main Cathedral of the Russian Armed Forces in Kubinka, 70km west of Moscow, which was inaugurated on June 22nd (the day Hitler launched his invasion) in 2020 (the 75th anniversary of the war’s end) with Mr Putin and Kirill in attendance.
The cathedral is a Byzantine monstrosity in khaki, its floor made from melted-down German tanks. But it is not devoted solely to the wars of the previous century. A mosaic commemorates the invasion of Georgia in 2008, the annexation of Crimea in 2014 and the country’s role in Syria’s civil war: angels smile down on the soldiers going about their holy work.
In keeping with this attitude Kirill has declared the current war a Godly affair and praised the role it will play in keeping Russia safe from the horrors of gay-pride marches. More zealous churchmen have gone further. Elizbar Orlov, a priest in Rostov, a city close to the border with Ukraine, said the Russian army “was cleaning the world of a diabolic infection”.
As the cathedral shows, the Russian people’s sacrifice and victories in the great patriotic war, which saw both the loss of 20m Soviet citizens and the creation of an empire greater in extent than any of the Tsars’, are central to Mr Putin’s new ideology of the Russian world. Today, though, the foes and allies of the 1940s have been shuffled around, allowing the war to be reframed as part of an assault on Russia’s civilisation in which the West has been engaged for centuries. The main culprits in this aggression are Britain and America—no longer remembered as allies in the fight against Nazis, but cast instead as backers of the imaginary Nazis from which Ukraine must be saved.
Project Russia
More important to the cult even than the priests are the siloviki of the security services, from whose ranks Mr Putin himself emerged. Officers of the fsb, one of the successors to the kgb, have been at the heart of Russian politics for 20 years. Like many inhabitants of closed, tightly knit and powerful organisations, they have a tendency to see themselves as members of a secret order with access to revealed truths denied to lesser folk. Anti-Westernism and a siege mentality are central to their beliefs. Mr Putin relies on the briefs with which they supply him, always contained in distinctive red folders, for his information about the world
In this realm, too, a turn towards the ideology now being promulgated was first seen in 2005, when a faction within the fsb produced an anonymous book called “Project Russia”. It was delivered by courier services to various ministries dealing with security and Russia’s relationship with the world, warning them that democracy was a threat and the West an enemy.
Few paid much heed. Though Mr Putin’s ascension to the presidency in 2000 was helped by his willingness to wage war in Chechnya, his mandate was to stabilise an economy still reeling from the debt crisis of 1998 and to consolidate the gains, mostly pocketed by oligarchs, of the first post-Soviet decade. His contract with the Russian people was based not on religion or ideology, but on improving incomes. Only dedicated Kremlin watchers, astute artists such as Vladimir Sorokin and a few political activists paid much attention to the new ideology of isolationism appearing in some of the darker corners of the power structure. At a time of postmodernist irony, glamour and hedonism it seemed marginal at best.
Two years later the new way of thinking became much more obvious to the outside world. In his Munich speech in 2007 Mr Putin formally rejected the idea of Russia’s integration into the West. In the same year he told a press conference in Moscow that nuclear weapons and Orthodox Christianity were the two pillars of Russian society, the one guaranteeing the country’s external security, the other its moral health.
After tens of thousands of middle-class city dwellers marched through Moscow and St Petersburg in 2011-12 demanding “Russia without Putin” the securocrats and clerics started to expand their dogma into daily life. A regime which sustained, and was sustained by, networks of corruption, rent extraction and extortion required religion and an ideology of national greatness to restore the legitimacy lost during the looting. As Mr Navalny remarked in a video which revealed Mr Putin’s palace in Sochi, covering up things of such size requires a lot of ideology.
Broken destinies
At that point it was still possible to see the ideology as a smokescreen rather than a product of real belief. Perhaps that was a mistake; perhaps the underlying reality changed. Either way, the onset of the covid-19 pandemic two years ago brought a raising of the ideological stakes. At the time, the most discussed aspect of the constitutional changes that Mr Putin finagled in July 2020 was that they effectively removed all limits on his term in office. But they also installed new ideological norms: gay marriage was banned, Russian enshrined as the “language of the state-forming people” and God given an official place in the nation’s heritage.
Mr Putin’s long subsequent periods of isolation seem to have firmed up the transformation. He is said to have lost much of his interest in current affairs and become preoccupied instead with history, paying particular heed to figures like Konstantin Leontyev, an ultra-reactionary 19th-century visionary who admired hierarchy and monarchy, cringed at democratic uniformity and believed in the freezing of time. One of the few people he appears to have spent time with is Yuri Kovalchuk, a close friend who controls a vast media group. According to Russian journalists they discussed Mr Putin’s mission to restore unity between Russia and Ukraine.
Hence a war against Ukraine which is also a war against Russia’s future—or at least the future as it has been conceived of by the Russia’s sometimes small but frequently dominant Westernising faction for the past 350 years. As in Ukraine, the war is intended to wipe out the possibility of any future that looks towards Europe and some form of liberating modernity. In Ukraine there would be no coherent future left in its place. In Russia the modernisers would leave as their already diminished world was replaced by something fiercely reactionary and inward looking.
The Russian-backed “republics” in Donetsk and Luhansk may be a model. There, crooks and thugs were elevated to unaccustomed status, armed with new weapons and fitted with allegedly glorious purpose: to fight against Ukraine’s European dream. In Russia they would be tasked with keeping any such dream from returning, whether from abroad, or from a cell. ■