Risposte

  • Un ottimo pezzo che analizza gli effetti sulle disuguaglianze dei piani di consolidamento delle finanze pubbliche.

    https://www.lavoce.info/archives/57985/ridurre-il-debito-con-il-con...

    Ridurre il debito con il consenso dei cittadini
    Le conseguenze storicamente determinate dei piani di consolidamento fiscale su crescita e diseguaglianza non bastano a guidare l’azione politica. In…
  • Marcello,

    grazie per il commento di Gabriele Guzzi.   Condivido lo spirito generale del suo commento.   

    Le modalità tecniche di applicazione del reddito di cittadinanza sono velleitarie (non tengono conto della capacità tecnica della nostra pubblica amministrazione) e sbagliate in molti punti.   Ma il principio dell'introduzione di una misura di contrasto alla povertà è sacrosanto.   Da anni la Commissione europea ci sollecitava a farlo ricordando che eravamo uno dei soli tre/quattro paesi dell'Unione europea dove questo non esisteva.

    Se i governi Letta/Renzi avessero introdotto il Reddito di inclusione nel 2013/2014 e ne avessero progressivamente aumentato le risorse forse oggi la situazione politica sarebbe diversa.   La sua introduzione durante il governo Gentiloni nel 2017 è stato per me un caso classico di "troppo tardi, troppo poco".

    Trovo assolutamente sbagliate le critiche di "assistenzialismo" rivolte al reddito di cittadinanza.

  • Un duro commento del Sole24Ore sul caos provocato dagli annunci e controannunci del governo in materia fiscale.   L'improvvisazione è veramente al governo.

    https://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2017-08-02/dodici-a...

    Dodici anni di proroghe fiscali: ecco i precedenti
    Negli ultimi anni è capitato spesso che le proroghe di versamenti o di vari adempimenti siano state “anticipate” dai cosiddetti comunicati-legge che,
  • da Econopoly

    L’autore di questo post è Gabriele Guzzi, laurea con lode in Economia alla Luiss e poi alla Bocconi. Ha lavorato per lavoce.info come fact-checker, è stato presidente di Rethinking Economics Bocconi e attualmente è dottorando presso l’Università Roma Tre –

    Ringrazio Massimo Famularo e il think tank Tortuga per le loro due repliche al mio primo post “lettera ai critici del Reddito di Cittadinanza”. Li ringrazio anche perché mi danno l’occasione di spiegare meglio alcuni punti e di esporre più accuratamente certi passaggi.

    Innanzitutto debbo chiarire, e non pensavo fosse necessario, che l’intento del mio articolo non era tanto quello di difendere tecnicamente il provvedimento o, come scrive Tortuga, di sostenere che il Reddito di Cittadinanza (Rdc) fosse una soluzione all’elusione fiscale. 
Il mio era un tentativo di interpretare la cultura che mi sembra sottostare alla maggioranza delle critiche al provvedimento, le quali sono radicate non tanto su una legittima volontà di correggere lo stesso, quanto su quella di delegittimare una misura principalmente per motivi ideologici. Il mio obiettivo era cioè quello di evidenziare quanto la maggioranza dei critici, per utilizzare una metafora evangelica, vogliano incentrare l’intero dibattito culturale del paese sulla “pagliuzza tecnica” del reddito di cittadinanza, ignorando volontariamente “la trave” delle ingiustizie e degli squilibri del sistema produttivo occidentale. Tema, quest’ultimo, su cui ritornerò successivamente.

    In ogni caso, poiché le critiche a me mosse sono state di natura tecnica, mi concentrerò anche io sulla pagliuzza del Rdc, non dimenticando però di ricordare che questo provvedimento rimane la più importante misura contro la povertà degli ultimi trent’anni, fatto che credo debba essere ulteriormente sottolineato.

    Per motivi espositivi, suddividerò le risposte alle critiche per punti.

    1. Lavoro e Rdc.Massimo Famularo nel suo pezzo sostiene che poiché il sussidio è concepito come una “misura ibrida tra indennità di disoccupazione e sostegno ai meno abbienti”, chi ha un lavoro ma vive sotto la soglia di povertà, non sarebbe “eleggibile per il Rdc”, e questo rappresenterebbe un fattore di ingiustizia. Credo che qui ci sia semplicemente una errata interpretazione del testo del decreto, pubblicatosulla Gazzetta Ufficiale il 28 gennaio 2019. Infatti, Il Rdc non è concepito come una misura ibrida tra indennità di disoccupazione e sostengo ai meno abbienti, ma come un reddito minimo condizionato, ossia come un’unione tra le politiche attive del lavoro e la lotta contro la povertà. Questa precisazione apparentemente innocua, in realtà, confuta ciò che dice Famularo. Infatti, il Rdc è concepito come “un’integrazione al reddito famigliare” (art.3), e quindi se un lavoratore guadagna meno di 780 euro, è single, e non ha altre fonti di reddito, avrebbe diritto a una compensazione esattamente pari a 780 euro meno il salario percepito. Ed è quindi l’opposto di quanto sostiene Massimo Famularo.
    2. Incentivi alle imprese.Tortuga invece sostiene che l’esonero dai contributi previdenziali e assistenziali per le imprese che assumono beneficiari del Rdc sarebbe iniquo, in quanto “lo sconto fiscale per le imprese […] sarà pari ai mesi mancanti alla fine del sussidio per il beneficiario assunto, che dura 18 mesi. Se si viene assunti al primo mese di sussidio, il datore di lavoro riceverà i restanti 17 mesi; se si viene assunti al 17esimo mese, l’azienda beneficerà solo di 1 mese di sconto”.

    Anche qui mi sembra che i miei interlocutori incappino in un errore di interpretazione del testo. L’articolo 8 del decreto legge infatti sostiene sì che l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali ha una durata pari alla differenza tra 18 mesi e le mensilità già godute dal beneficiario, ma, al contrario di quanto sostiene Tortuga, tale esonero comunque non può essere “inferiore alle cinque mensilità”. Ancora più chiaramente, il comma due dello stesso articolo disciplina la possibilità che sia un ente di formazione accreditato a trovare un lavoro al beneficiario, e in questo caso l’esonero è di durata minima di 6 mesi, per un importo totale da dividere tra il datore di lavoro e l’ente di formazione. Quindi se un beneficiario sarà assunto al diciassettesimo mese, le imprese riceveranno non un mese di sconto, come scrive Tortuga, ma cinque, o sei nel caso in cui il percorso di formazione sia andato a buon fine.

    La filosofia alla base poi mi sembra abbastanza intuitiva: se l’impresa ricevesse solo un mese di sconto al diciassettesimo mese, avrebbe un incentivo a far scadere il Rdc e farlo rinnovare per ottenere diciotto mesi di sconto. Simmetricamente, quindi, a partire dal secondo ciclo l’esonero contributivo è fissato a cinque o sei mensilità. In questo modo, al contrario di quanto sostenuto, le imprese saranno incentivate ad assumere quanto prima possibile i beneficiari migliori, magari giovani e con un maggiore livello di formazione, e questo non “svantaggia affatto i più deboli”, come scrivono. Infatti, questa scelta è semplicemente il risultato economico di una eterogeneità di formazione e abilità che nessun governo può abolire per decreto. Poi, nel caso in cui Tortuga desiderasse discutere di una trasformazione radicale del sistema capitalistico, compresa la sua innata propensione a favorire i più forti, sarei certamente contento di approfondire con loro questa tematica.

    1. Produttività e salario.Molti poi mi hanno criticato per non aver espressamente ricordato che il gap tra produttività del lavoro e salari reali non sarebbe presente in Italia. Anche qui mi sembra che in realtà il mio articolo fosse abbastanza chiaro, e quindi provvederò semplicemente a citare i passaggi chiave. 
Io sostengo semplicemente che la quota salari ha subito un forte calo in quasi tutti i paesi dell’Occidente negli ultimi trent’anni. La disuguaglianza cioè non solo è aumentata tra le fasce di reddito, tra l’1% e il 99%, ma anche tra le classi sociali, ossia tra chi vive principalmente del proprio reddito da lavoro e chi di redditi da capitale, reale o finanziario, secondo la tripartizioneadottata da Istat. In altre parole, i salari reali hanno vissuto un periodo di stagnazione rispetto alla crescita della produttività che, anche grazie alla globalizzazione dei flussi di merci e di capitali, è stata maggiormente accumulata dai percettori di profitto.

    All’interno di questa dinamica globale, emerge il caso Italiano, che non solo ha subito la perdita di potere contrattuale del lavoro comune agli altri paesi, ma è stata in più danneggiata da una crescita fiacca, che poi ha indebolito la crescita stessa dei profitti. Non solo io infatti scrivo esplicitamente che questi guadagni di produttività sono “estranei al contesto italiano”, ma poi denuncio che è un intero capitalismo, nell’ovvio significato della sua globalità, che tende a fondarsi su un’asimmetria della distribuzione dei benefici economici. Questo fatto, continuo a sottolineare, in Italia “è ulteriormente peggiorato da una situazione di crescita stagnante ultradecennale”. Di fronte a questa situazione drammatica, che mi sembra che emerga dalle righe della mia lettera, è ovvio che il Rdc non può da solo contribuire ad un innalzamento automatico dei salari. Ma può invece rafforzare il potere contrattuale delle fasce più deboli e rinvigorire la domanda effettiva nelle regioni più economicamente depresse.

    1. Famiglie numerose.Sono in parte d’accordo sul fatto che la scala di equivalenza che è presente nel decreto legge del 28 gennaio potrebbe svantaggiare le famiglie numerose. Sembra però che sia la stessa maggioranza, nella sua componente pentastellata, a voler modificare la scala di equivalenza tramite un emendamento che, come riportatra gli altri Repubblica, diventerebbe pari a 1 per il primo componente del nucleo famigliare, e incrementato di 0,4 e 0,3 per ogni ulteriore componente maggiorenne e minorenne, fino ad un massimo di 2,5. Ora nel decreto l’incremento per i figli minorenni è di 0,2 e il massimo è 2,1. Questo, secondo i miei calcoli, dovrebbe portare il beneficio massimo per un nucleo famigliare a 1530 euro al mese e smussare lo squilibrio a sfavore delle famiglie più numerose.*
    2. Trappola della povertà.In entrambi gli articoli di risposta si sostiene che questo provvedimento potrebbe ingabbiare i percettori in un “calvario di offerte di lavoro impossibili da rifiutare e paghe molto basse”, per come scrive Tortuga, che sostiene poi che ciò assomiglierebbe ai mini-jobs tedeschi. Sebbene forse Tortuga si volesse riferire non tanto ai mini-jobs quanto al contestato sussidio Hartz IV, la situazione tedesca rimane comunque allarmante. 
Mi sembra tuttavia che il paragone con il caso tedesco sia fuorviante.

    Principalmente perché, sempre nel decreto del 29 gennaio, l’articolo 4 comma 8 chiarisce che la congruità delle tre offerte di lavoro non dipende solo dalle distanze geografiche o dalla durata di fruizione del beneficio, per come chiarirà poi il comma 9, ma anche dal salario che questo lavoro implica. Il numero 5 del comma 8 infatti rimanda all’articolo 25 del decreto legislativo 150/2015, che afferma che l’offerta è economicamente congrua solo se il salario è superiore del 20% rispetto alla Naspi percepita nell’ultimo mese, o nel caso di beneficiari di Rdc superiore di almeno il 10% dell’importo massimo fruibile da un solo individuo, ossia almeno 858 euro al mese, per come è stato emendato durante il lavoro della Commissione al Senato. Il senso di questo comma, che era comunque già presente nel decreto iniziale, è che non esiste solo il criterio geografico per stabilire la congruità di un’offerta di lavoro, ma anche quello economico. Questo è stato pensato proprio per ostacolare il pernicioso connubio tra povertà e semi-assistenzialismo che si è verificato altrove.

    Al di là di questa precisazione legislativa, è anche qui ovvio che il Rdc non può da solo risolvere il problema occupazionale in Italia. C’è la necessità che accanto a questa fondamentale misura anti-povertà si accompagni un rilancio considerevole degli investimenti, pubblici e privati, affinché le pratiche di formazione, di riqualificazione o di inclusione sociale possano realmente sfociare in un nuovo impiego dignitoso.

    1. Neoliberismo e ruolo dello Stato.Mi si permetterà di trattare come ultimo punto una questione più ampia, che riguarda cioè i lineamenti della politica economica oggi dominanti e il ruolo che lo Stato dovrebbe ricoprire in un’economia moderna. 
Sono costretto a ritornare su questo punto perché Massimo Famularo sostiene che il neoliberismo non sia mai esistito in Italia e Tortuga che sarebbe “semplicistico” portarlo come argomento. Mi verrebbe da dire, con una battuta, che forse per qualche liberista, posizione che intellettualmente è più che legittima, non saremo mai sufficientemente liberisti. 
Infatti, se prendiamo la definizione presente in questo ultimo articolodi Rodrik, Zucman e Naidu, potremmo dire che il neoliberismo, parola che sembra quasi vietato pronunciare in qualche milieu culturale italiano, non è che l’insieme di politiche che ricercano una maggiore flessibilità del lavoro, una deregolamentazione dei mercati finanziari, un indebolimento dell’azione dello Stato nell’economia tramite privatizzazioni e politiche di consolidamento fiscale, una riduzione della progressività fiscale, una liberalizzazione dei mercati e una de-sindacalizzazione diffusa. Mi sembrerebbe alquanto azzardato sostenere che dagli anni 90 non siano state fatte in Italia politiche in questa direzione, dalla flessibilizzazione del lavoro, dal pacchetto Treu al Jobs Act, dalle privatizzazioni di interi settori pubblici, le più importanti della storia dopo quelle della signora Thatcher, la deregolamentazione e la liberalizzazione dei movimenti di capitali, implementata con il processo di unificazione europea, e di importanti mercati interni, senza dimenticare i circa 26 anni di continui avanzi primari (ad eccezione del 2009) e la riduzione delle aliquote marginali Irpef più alte.

    Mi sembra poi anche azzardato sostenere, come fa il dottor Famularo, che una misura per il rilancio dell’economia italiana sarebbe una “riduzione del numero dei dipendenti pubblici”. C’è sicuramente un diffuso pregiudizio su questo tema, che imputa al sistema pubblico italiano di essere troppo ingolfato, grande e bizantinamente confuso. Fatta salva la necessità di migliorare continuamente l’apparato pubblico, è doveroso ricordare che, nonostante questo pregiudizio, l’Italia si trova già tra i paesi con il più basso tasso di dipendenti pubblici dell’intero Occidente sul totale dell’occupazione. Come ho avuto modo di argomentare in un articolo su lavoce.info, da cui sono presi i grafici qui sotto, non solo l’Italia ha una percentuale minore di dipendenti pubblici di Francia, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti, ma ha anche la percentuale più bassa di dipendenti under 35 di tutti i paesi Ocse, e quella più alta per i dipendenti over 55.

    Chiudiamo il cerchio: replica alle critiche al Reddito di Cittadinanza
    Lavoro, incentivi alle imprese, produttività, famiglie numerose, trappola della povertà, neoliberismo. Nel Reddito di Cittadinanza. Punto per punto
  • Un ottimo video di Luigi Marattin in cui spiega i più recenti dati economici (ed il fatto che samo in recessione).

    https://www.facebook.com/LuigiMarattinPD/videos/2139545529439706/

    Oltre la demagogia_prima puntata.

    Perchè il PIL da sei mesi sta scendendo? Quali sono le probabili cause e quali le conseguenze? Proviamo a capire. #oltrelademagogia

    Posted by Luigi Marattin on Tuesday, February 19, 2019
  • Luisa Ernesta Cigardi,

    la notizia che riporta è grave (ma non mi stupisce eccessivamente).   Ha qualche informazione di più ?  Qualche link a notizie di stampa provenienti da fonti serie ?

  • Hanno eliminato l'unità di crisi del Mise. Ci sono120 pratiche inerenti aziende in odor di chiusura che giacciono irrisolte al Mise 

  • Una buona analisi di Francesco Cancellato sulla nostra mancanza di crescita.

    https://www.linkiesta.it/it/article/2019/02/08/gli-altri-arrancano-...

    Gli altri arrancano, noi crolliamo: ecco perché siamo i peggiori d’Europa (e perché il governo ha s…
    Anche il Winter Forecast della Commissione Europea rivedere al ribasso le stime sulla nostra crescita. Ma c'è di peggio: che è colpa degli investimen…
  • Una buona analisi della politica economica dei 5S e dei Gilets Jaunes di Stefano Cingolani su Linkiesta.

    https://www.linkiesta.it/it/article/2019/02/07/cinque-stelle-e-gile...

    Cinque Stelle e Gilet Gialli: ecco l’internazionale della decrescita nell’Europa in recessione
    I grillini e i gilet jaunes non si alleeranno alle europee ma un filo rosso li lega: il rifiuto di questo modello di crescita economica. Eppure solo…
  • E questo è un pezzo uscito su Uomini & Business due giorni fa.
    https://www.uominiebusiness.it/default.aspx?c=635&a=27514&t...

    Cresce il sommerso, ma non il Pil - Uomini & Business
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C'è una grossa confusione sulle stime delle dimensioni dell'economia sommersa e della sua inclusione neile stime del PIL.   Questa nota spiega che l'economia sommersa è inclusa nelle stime del PIL in maniera adeguata in tutti i paesi industrializzati. E questo articolo ribadisce il concetto rispondendo a delle domande sul tema.

Una delle cose di cui tanti italiani sono convinti è che l'introduzione delle banconote e monete in euro abbia provocato un aumento dei prezzi.   Non è vero.   Questa nota lo spiega

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Dal 2014 ad oggi in Italia non c'è stata nessuna austerità.   Non ha alcun senso sostenere che solo ora si starebbe mettendo fine a questa triste necessità.   Questo testo, che contiene due grafici, lo spiega.

 Questo altro testo demolisce la bufala incredibile sul tasso di conversione "sbagliato" o "svantaggioso" per la lira e "vantaggioso" per la Germania.   Nessuno ha mai scelto i tassi di conversione.   Come era già stato stabilito nel Trattato di Maastricht del 1992 si sono presi i tassi di mercato. 

Sistema finanziario

Questo pezzo spiega come la Banca d'Italia e le altre banche centrali dei paesi dell'eurozona siano tutte enti pubblici.   La BCE, di proprietà delle banche centrali dell'eurozona, è anch'essa un ente di diritto pubblico.   Che le banche centrali siano di proprietà privata è una bufala.

Girano cifre irrealistiche sul costo della ricapitalizzazione delle banche italiane.   Nel corso dell'ultima legislatura il costo delle ricapitalizzazioni o ristrutturazioni è stato inferiore ai 10 miliardi.   A questi si possono aggiungere i 3.9 miliardi spesi dal governo Monti per il MPS. Questa nota fornisce il dettaglio di questi interventi.

Questo fact-checking dell'AGI mostra come l'inchiesta della procura di Trani contro le agenzie di rating sia finita nel nulla (come era giusto e logico).

Posizioni mie

Alcuni affermano che un alto debito pubblico non costituirebbe un problema e che l'alto debito pubblico italiano sarebbe dovuto alla decisione di permettere alla Banca d'Italia di gestire in maniera indipendente la politica monetaria senza essere obbligata a comprare titoli di stato italiani (nel periodo precedente all'unione monetaria).   Queste teorie sono considerate strampalate da quasi tutti.   Ho cercato comunque di spiegare perché reagendo il 27 novembre as un video di Marco Bersani  e il 3 novembre ad uno di Francesco Amodeo.   Già nel passato avevo avuto l'occasione di criticare un errore madornale commesso da Paolo Barnard in un un suo intervento alla televisione.  E questo è un articolo del 4 marzo 2019 di Kenneth Rogoff, Modern Monetary Nonsense, che critica la Modern Monetary Theory su cui si appoggiano molte delle persone citate.

L'idea che l'avere una propria moneta permetta una maggiore libertà nella gestione del debito pubblioco è, per un'economia delle dimensioni di quella italiana, del tutto sbagliata.   Lo spiego in questo testo.

Un saldo primario positivo non è un segno di virtù economica.   E' solo una triste necessità.

Spesa pubblica in disavanzo ?   Questo breve testo spiega quale è il ragionamento economico alla base del sostegno della congiuntura attraverso un aumento della spesa pubblica in disavanzo.