La concorrenza

C'è molto da dire su questo tema.   Penso sia utile avere una discussione ad hoc.

Riporto alcuni interventi postati nella discussione "Che politica economica ?" sul caso Siemens-Alstom.

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Risposte

  • Si fabio

    giriamo in tondo: non so quante volte ha risposte a queste osservazioni

    Fabio Colasanti 16 Febbraio 2019, alle 0:19

    Giovanni,

    giriamo in tondo.   L'aumento della dispersione dei redditi è un fenomeno che vediamo in tutti i paesi industrializzati dagli anni ottanta.   Di commercio internazionale ne avevamo avuto tanto nei decenni precedenti eppure la distribuzione dei redditi si è andata riducendo tra l'inizio del novecento e gli anni ottanta.

  • Giovanni,

    giriamo in tondo.   L'aumento della dispersione dei redditi è un fenomeno che vediamo in tutti i paesi industrializzati dagli anni ottanta.   Di commercio internazionale ne avevamo avuto tanto nei decenni precedenti eppure la distribuzione dei redditi si è andata riducendo tra l'inizio del novecento e gli anni ottanta.

    I grandi passi avanti nella liberalizzazione dei commercio internazionale si sono visti subito dopo la seconda guerra mondiale e negli anni cinquanta e sessanti (Comunità economica europea, Uruguay round, Kennedy round, accordi con i paesi in via di sviluppo ed altro.

    Quello che è cambiato negli anni novanta e all'inizio di questo secolo è stato l'azzeramento del costo delle comunicazioni e la forte riduzione di quello dei trasporti.

    Il grosso dell'aumento della dispersione dei redditi viene dalla robotizzazione delle produzioni e dalle altre trasformazioni del modo di produrre provocate dal progresso tecnico.

    Rimane il fatto che nella maggioranza dei paesi industrializzati i salari medi non sono diminuiti in termini reali (ma questo è successo in Italia che ha oggi un livello di PIL pro-capite reale più o meno pari a quello del 1999/2000) e che la riduzione del divario è stata dovuta soprattutto ad una forte crescita dei salari nei paesi emergenti.

  • Fabio

    Benissimo: diciamo che istituzionalmente la UE non si occupa delle condizioni del lavoro.    Ma io dicevo proprio che NON  era una colpa della commissione, ma del modo in cui procedeva l'europa

    Giustamente non si puo avere una legislaziane unica sul lavoro dalla Bulgaria alla Svezia, ma nel momento in cui si assicura la concorrenza dalla Bulgaria alla Svezia i salari degli operai svedesi e bulgari, a parita di funzioni tendono ad avvicinarsi

     Per questo la globalizzazione porta alla polarizzazione dei redditi nei paesi avanzati  come tutti possono costatare. 

    Fabio Colasanti 14 Febbraio 2019, alle 12:27

    Giovanni,

    Il fatto che non ci sia legislazione a livello europeo su salari minimi legali, indennità di disoccupazione e altri temi sociali non significa affatto che si pensi che la concorrenza e la crescita del PIL risolvano tutto.

    Al contrario, 22 paesi europei su 28 hanno un salario minimo; quasi tutti hanno un sussidio di disoccupazione e la maggioranza dei paesi ha aiuti sociali più forti dei nostri (nei documenti della direzione generale affari sociali si faceva notare da anni che l'Italia era uno dei tre/quattro paesi europei a non avere ancora - prima del reddito di inclusione - uno strumento nazionale di lotta contro la povertà).

    Non c'è legislazione in questo campo perché si è deciso che queste materie siano una responsabilità nazionale e non una responsabilità dell'Unione europea.

    Il malinteso su questo punto viene dal solito problema: in Italia noi siamo quasi gli unici a pensare che l'Unione europea debba essere uno stato che riprende tutte le funzioni degli stati nazionali.   Gli altri leggono i Trattati e ci trovano scritto che l'Unione europea deve fare solo alcune cose specificatamente indicate nei trattati e che tutto il resto è responsabilità nazionale.

    Del resto come si potrebbe mai avere una legislazione europea in campo sociale in uno spazio che va dalla Svezia alla Bulgaria ? 

  • Giovanni,

    Il fatto che non ci sia legislazione a livello europeo su salari minimi legali, indennità di disoccupazione e altri temi sociali non significa affatto che si pensi che la concorrenza e la crescita del PIL risolvano tutto.

    Al contrario, 22 paesi europei su 28 hanno un salario minimo; quasi tutti hanno un sussidio di disoccupazione e la maggioranza dei paesi ha aiuti sociali più forti dei nostri (nei documenti della direzione generale affari sociali si faceva notare da anni che l'Italia era uno dei tre/quattro paesi europei a non avere ancora - prima del reddito di inclusione - uno strumento nazionale di lotta contro la povertà).

    Non c'è legislazione in questo campo perché si è deciso che queste materie siano una responsabilità nazionale e non una responsabilità dell'Unione europea.

    Il malinteso su questo punto viene dal solito problema: in Italia noi siamo quasi gli unici a pensare che l'Unione europea debba essere uno stato che riprende tutte le funzioni degli stati nazionali.   Gli altri leggono i Trattati e ci trovano scritto che l'Unione europea deve fare solo alcune cose specificatamente indicate nei trattati e che tutto il resto è responsabilità nazionale.

    Del resto come si potrebbe mai avere una legislazione europea in campo sociale in uno spazio che va dalla Svezia alla Bulgaria ? 

    giovanni de sio cesari 13 Febbraio 2019, alle 19:54

    Fabio

    Hai assolutamente ragione che bisogna difendere i lavoratori e non i posti di lavoro Infatti io parlavo di condizioni di lavoro e non del numero dei lavoratori e rilevavo la assoluta mancanza di considerare un tale problema da è parte della UE.    Non vi nessuna risoluzione che si occupi di salari minimi, assistenza, sussidi di disoccupazione e così via.   Non è un rimprovero che faccio, ripeto, ma si tratta  di una posizione del tutto coerente di chi crede che tutto si risolva con il PIL  e con la concorrenza

    La realtà che è sotto gli occhi di tutto mostra che non è cosi  , che il nostro problema è la polarizzazione dei redditi ecc. ecc. 

  • Fabio

    Hai assolutamente ragione che bisogna difendere i lavoratori e non i posti di lavoro Infatti io parlavo di condizioni di lavoro e non del numero dei lavoratori e rilevavo la assoluta mancanza di considerare un tale problema da è parte della UE.    Non vi nessuna risoluzione che si occupi di salari minimi, assistenza, sussidi di disoccupazione e cosi via.   Non è un rimprovero che faccio, ripeto, ma si tratta  di una posizione del tutto coerente di chi crede che tutto si risolva con il PIL  e con la concorrenza

    La realta che è sotto gli occhi di tutto mostra che non è cosi  , che il nostro problema è la polarizzazione dei redditi ecc. ecc. 

    Fabio Colasanti 9 Febbraio 2019, alle 23:15

    Giovanni,

    in tutti i paesi industrializzati esistono delle regole generali che riguardano i licenziamenti.   I paesi più avanzati proteggono le persone e non i vecchi posti di lavoro.   I paesi più avanzati mettono il costo della protezione dei lavoratori che perdono il loro posto di lavoro a carico della collettività e non a carico dell'ultimo datore di lavoro.

    Quindi tutti i paesi industrializzati hanno delle regole per i licenziamenti.   DAta questa situazione, perché mai una decisione che riguarda le conseguenze di una fusione tra imprese dovrebbe essere influenzata da considerazioni che riguardano il futuro dei lavoratori ?

    Si sarebbero dovute stabilire regole sulle tipografie per proteggere i posti di lavoro degli amanuensi ?

    Fabio Colasanti
    Che Italia vogliamo ? è un social network
  • Commento su: Regole, essenza dell'UE di Fabio Colasanti

    Caro Fabio,

    Per una volta mi dissocio parzialmente dal tuo articolo.

    Sono d’accordo in principio sull’importanza di avere un mercato unico in situazione di concorrenza, ma questo principio dovrebbe essere qualificato dal bisogno di agire in un mercato globale dove alcuni grandi potenze economiche non seguono le stesse regole del gioco. Penso evidentemente alla Cina popolare oggi, ma anche ad un USA trumpista, e un domani anche all’India, e perché nó alla Russia (nel settore armamenti, per esempio).

    Oggi vediamo lo sviluppo di certe imprese industriali di punta con enormi liquiditá finanziarie che possono permettersi di comprare industrie europee di punta, a volte start up,  e approfittarne per fare un salto tecnologico e dominare il mercato, non europeo, ma mondiale. Huawei è sulla bocca di tutti ma ce ne sono altre.

    L’Europa ha bisogno di una politica industriale dove le autorità pubbliche europee e nazionali, le imprese industriali, i centri di ricerca, si coalizzano per sviluppare strategie, prodotti, servizi in settori chiavi che permetteranno di rimanere nel top dell’economia mondiale.

    Esempi a casaccio e, a volte fallimentari, del passato sono la televisione a colori PAL/SECAM, il supersonico Concorde, il Minitel francese, internet ante litteram.

    Un esempio di successo é Airbus, diventato co-duopolista con Boeing nei grossi aerei passeggeri. Airbus é partito da rimasugli di capacitá industriali della seconda guerra mondiale per diventare  leader indiscusso. Ma nessun settore è protetto a lungo termine, anche nel settore dell’aeronautica i Cinesi fanno grossi progressi e in un domani non lontano saranno concorrenti seri di Airbus, sicuramente copiando segreti industriali da loro.

    Per dirlo semplicemente, l’Europa ha bisogno di una politica industriale a la De Gaulle con partnerships pubblico-privato per sviluppare e proteggere i settori di punta che ci permetteranno di finanziare la protezione sociale attuale che tutti ci invidiano. Se questo significa modulare la politica di concorrenza, questo é un prezzo che dovremmo pagare per rimanere a galla. 

    Tuo Amos

  • Una domanda  a chi chiede una politica industriale europea ed un alleggerimento delle regole sulla concorrenza per permettere la formazione di "campioni nazionali" ?

    Quale è il problema che si vuol risolvere ?   Migliorare ancora il saldo commerciale dell'Unione europea ?

    Abbiamo già oggi un saldo positivo molto forte che crea problemi a livello internazionale : ben oltre il 3 per cento del PIL per l'UE e ben più del 4 per cento per l'eurozona.

    L'obiettivo della politica economica di un paese non può essere quello di avere permanentemente dei grossi saldi attivi della bilancia commerciale (gli avanzi degli uni devono avere come controparte i disavanzi di qualcun altro).   

    Questo è mercantilismo di vecchio stampo.   Questo è quello che rimproveriamo alla Germania.   Donald Trump risponde con strumenti sbagliati (il protezionismo e la minaccia di dazi) ad un problema vero.   

  • Ancora una posizione sul caso Siemens-Alstom che non condivido, ma che considero seria e rispettabile.

    https://formiche.net/2019/02/alstom-siemens-qual-mercato-difendere/...

    Alstom-Siemens: qual è il mercato da difendere? - Formiche.net
    In un mercato globale, sul quale si confrontano competitors globali di dimensione colossale (soprattutto in ambito digitale) come Amazon, Google, Ali…
  • Giovanni,

    in tutti i paesi industrializzati esistono delle regole generali che riguardano i licenziamenti.   I paesi più avanzati proteggono le persone e non i vecchi posti di lavoro.   I paesi più avanzati mettono il costo della protezione dei lavoratori che perdono il loro posto di lavoro a carico della collettività e non a carico dell'ultimo datore di lavoro.

    Quindi tutti i paesi industrializzati hanno delle regole per i licenziamenti.   DAta questa situazione, perché mai una decisione che riguarda le conseguenze di una fusione tra imprese dovrebbe essere influenzata da considerazioni che riguardano il futuro dei lavoratori ?

    Si sarebbero dovute stabilire regole sulle tipografie per proteggere i posti di lavoro degli amanuensi ?

    giovanni de sio cesari 9 Febbraio 2019, alle 18:24

    Fabio

    Certamente,   hai ragione: ma quello che io osservavo è che nella decisione le considerazioni sulla situazione dei lavoratori sono assolutamente assenti  perche si ritiene che quello che conta è la competitivita e la concorrenza, unico parametro veramente preso in considerazione  E una posizione coerente e ragionevole, ma non la condivido per tanti motivi espressi  anche nella risposta a Mariella   

  • Giovanni,

    la valutazione degli effetti di una fusione/concentrazione deve essere fatta rispetto al mercato in cui le imprese operano.   Per fusioni piccole le autorizzazioni sono date dalle autorità antitrust nazionali.   Per quelle di grandi dimensioni (superiori a certe soglie come fatturato nei vari settori) interviene la Commissione europea.  

    In ogni caso le regole europee sulla concorrenza (che devono essere applicate dalle autorità nazionali) non contengono (giustamente) come criterio lo "interesse nazionale".   C'è un interesse dei consumatori, c'è un interesse collettivo in termini di innovazione e ricerca, ma non c'è un interesse nazionale che possa essere diverso dagli altri citati.

    giovanni de sio cesari 9 Febbraio 2019, alle 19:00

    Una cosa non mi è chiaro: è cosa meritoria che  la commissione europea si oppone ai monopoli ma perche a questo fine non potrebbero provvedere i singoli stati secondo l’ interesse nazionale ?

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C'è una grossa confusione sulle stime delle dimensioni dell'economia sommersa e della sua inclusione neile stime del PIL.   Questa nota spiega che l'economia sommersa è inclusa nelle stime del PIL in maniera adeguata in tutti i paesi industrializzati. E questo articolo ribadisce il concetto rispondendo a delle domande sul tema.

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Politica economica

Dal 2014 ad oggi in Italia non c'è stata nessuna austerità.   Non ha alcun senso sostenere che solo ora si starebbe mettendo fine a questa triste necessità.   Questo testo, che contiene due grafici, lo spiega.

 Questo altro testo demolisce la bufala incredibile sul tasso di conversione "sbagliato" o "svantaggioso" per la lira e "vantaggioso" per la Germania.   Nessuno ha mai scelto i tassi di conversione.   Come era già stato stabilito nel Trattato di Maastricht del 1992 si sono presi i tassi di mercato. 

Sistema finanziario

Questo pezzo spiega come la Banca d'Italia e le altre banche centrali dei paesi dell'eurozona siano tutte enti pubblici.   La BCE, di proprietà delle banche centrali dell'eurozona, è anch'essa un ente di diritto pubblico.   Che le banche centrali siano di proprietà privata è una bufala.

Girano cifre irrealistiche sul costo della ricapitalizzazione delle banche italiane.   Nel corso dell'ultima legislatura il costo delle ricapitalizzazioni o ristrutturazioni è stato inferiore ai 10 miliardi.   A questi si possono aggiungere i 3.9 miliardi spesi dal governo Monti per il MPS. Questa nota fornisce il dettaglio di questi interventi.

Questo fact-checking dell'AGI mostra come l'inchiesta della procura di Trani contro le agenzie di rating sia finita nel nulla (come era giusto e logico).

Posizioni mie

Alcuni affermano che un alto debito pubblico non costituirebbe un problema e che l'alto debito pubblico italiano sarebbe dovuto alla decisione di permettere alla Banca d'Italia di gestire in maniera indipendente la politica monetaria senza essere obbligata a comprare titoli di stato italiani (nel periodo precedente all'unione monetaria).   Queste teorie sono considerate strampalate da quasi tutti.   Ho cercato comunque di spiegare perché reagendo il 27 novembre as un video di Marco Bersani  e il 3 novembre ad uno di Francesco Amodeo.   Già nel passato avevo avuto l'occasione di criticare un errore madornale commesso da Paolo Barnard in un un suo intervento alla televisione.  E questo è un articolo del 4 marzo 2019 di Kenneth Rogoff, Modern Monetary Nonsense, che critica la Modern Monetary Theory su cui si appoggiano molte delle persone citate.

L'idea che l'avere una propria moneta permetta una maggiore libertà nella gestione del debito pubblioco è, per un'economia delle dimensioni di quella italiana, del tutto sbagliata.   Lo spiego in questo testo.

Un saldo primario positivo non è un segno di virtù economica.   E' solo una triste necessità.

Spesa pubblica in disavanzo ?   Questo breve testo spiega quale è il ragionamento economico alla base del sostegno della congiuntura attraverso un aumento della spesa pubblica in disavanzo.