Questo articolo, pubblicato il 14 dicembre 2017, smonta la bufala che gira in rete secondo la quale gli altri paesi dell'Unione europea avrebbere dato dei contributi finanziari per aiutare la Germania nell'opera di riunificazione.
Mentre, quest'altro, del 27 dicembre 2017 conferma che quando nel 2011 la Deutsche Bank decise di ridurre la sua esposizione sull'Italia fece di tutto per minimizzarne gli effetti sull'andamento del prezzo dei titoli italiani (come era del resto nel suo stesso interesse).
Questo è il link ad un articolo de La Stampa che inquadra il caso delle norme europee sulle dimensioni minime delle cozze. Quando la CEE introdusse questo regolamento copiò una norma italiana che era già in vigore da anni !
Alcuni fanno dei commenti su di un presunto alcolismo di Jean-Claude Junker basandosi sulla sua andatura malferma. La cosa è vergognosa. Questo è il link al pezzo di BUTAC che ricorda il gravissimo incidente di cui fu vittima parecchi anni fa Jean-Claude Junker.
Questa bufala fa sorridere, ma è un esempio di cosa gira su certa pseudostampa: la notizia - falsa - che l'Unione europea avrebbe proibito di mettere i nomi sui campanelli dei portoni !
Risposte
Un ottimo commento di Andrea Bonanni
Il danno all'Europa - la Repubblica
Da Eurointelligence di oggi (27 aprile).
What fiscal policy is for Germany, security is for France, as suggested by two rulings last week. The German constitutional court rejected an injunction that would have stopped the recovery fund. On the same day the Conseil d'État, the French administrative justice court, ruled on whether European e-privacy rights are compatible with the French mandate to fight terrorism. Both are not the last word on the issue, and further clarification will be provided by further court rulings.
Shaheen Vallée explains on Der Verfassungsblog why this could have even further implications for the EU than a negative ruling by Karlsruhe.
The concrete case was a referral from the ECJ: several non-governmental organisations and a telecom provider were seeking clarification through the courts over the French legal provisions to conserve and access internet connection data for security reasons. The ECJ considered in its October 2020 ruling that this practice was not only violating the directive, but also violating the EU’s Charter of Fundamental Rights. The French government challenged the ruling through two legal avenues: considering the ECJ as acting ultra vires, a rather confrontational line, or as creating a conflict with constitutional requirements on public order and security.
The Conseil d'État did not make an ultra vires argument, as the German constitutional court did in the case of the ECB's asset purchases. But it argued its objections to the ECJ's ruling on constitutional grounds. The French government will in fact reject the application of EU law for an extended, and potentially also unlimited, period of time.
Vallée writes that France is trying to use a legal precedent from the German Solange case in 1986 to argue that there are no equivalent security clauses in the EU’s primary law, and therefore that France’s constitutional identity warrants protection until the EU’s primary law empowers the EU on internal security matters. With its ruling, the Conseil d’Etat not only allows the government to continue its surveillance programme until the EU is endowed with security provisions in its primary law, but it will also keep its options open if these provisions are deemed insufficient. This is effectively creating the domestic legal ground for a permanent confrontation between the EU and the French legal order in the field of security.
Two paths emerge from there: either this ruling is used to push for a common security protection under EU law. Or to create a permanent fault line in the EU's legal system with the Charter of Fundamental Rights, with ripple effects for other member states, Poland and Hungary in particular.
Paul Cassia, a French constitutional lawyer, likened the ruling to Frexit. We would not go that far. But we also noted that the French courts are becoming more assertive in recent years, and this is unlikely to be the last challenge. A legal fragmentation in Europe would be the beginning of its undoing. We are looking now for the political will to push the reset button.
Un interessante articolo sulle conseguenze dalla Brexit sugli scambi commerciali.
Brexit & Beyond: This period will shape the post-Brexit narrati...
Il nostro governo sta lavorando alla preparazione del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza necessario per poter utilizzare le risorse finanziarie messe a disposizione dall’Unione europea. Non si tratta di una cosa facile.
Nel quadro del programma Vigonomics del centro culturale di Villa Vigoni, ho invitato a discutere di questo tema Adriana Cerretelli e Andrea Bonanni, due giornalisti con una lunga esperienza europea. Adriana è editorialista del Sole24 Ore da Bruxelles. Segue gli affari europei da molti anni ed ha avuto anche un’esperienza di insider delle discussioni europee essendo stata la portavoce del ministro delle Finanze Giovanni Tria nel precedente governo. Andrea è editorialista de “La Repubblica”. Anche lui ha seguito per decenni l’attualità dell’Unione europea. È con La Repubblica da una ventina d’anni e precedentemente è stato il corrispondente da Bruxelles (e da Mosca) del Corriere della Sera.
Il video dura 58 minuti. Questo è il link al video:
https://www.youtube.com/watch?v=Vg9zE5raio8&feature=youtu.be
Dal punto di vista economico, l'Unione eropea ha risposto bene alla crisi.
https://www.lavoce.info/archives/70040/coronavirus-e-crisi-economic...
Gli argomenti sul MES che sono attribuiti a Giuseppe Conte in questo articolo mostrano che non sa più cosa dire. I 5S hanno preso un'impuntatura stupida basata sul niente. E adesso non vogliono perdere la faccia riconoscendolo. E nel frattempo i contribuenti italiani pagano interessi sul nostro debito pubblico che potremmo risparmiarci. Quanto siamo messi male !
https://www.corriere.it/politica/20_ottobre_18/conferenza-stampa-co...
I prestiti del Recovery Fund (120 miliardi di euro), dello SURE (27 miliardi) e del MES (37 miliardi di euro) costituiscono 184 miliardi di euro che lo stato italiano può ottenere a condizioni finanziarie estremamente agevolate (tassi di interesse vicini allo zero).
Tutti questi prestiti fanno certamente parte del nostro debito pubblico, non potrebbe essere altrimenti sono dei prestiti. Dall'inizio dell'anno a fine agosto il governo ha fatto 109 miliardi di nuovi debiti (disavanzo), tanto quanto nei tre anni 2017, 2018 e 2019. Secondo tutte le previsioni, il disavanzo (nuovo debito) italiano nel 2020/2021 supererà i 200 miliardi. Sembra francamente ridicolo dire che se si prendessero i fondi del MES, il governo dovrebbe aumentare le tasse !
Ma questi prestiti sono nei confronti di un creditore istituzionale (UE e MES). Questo li rende meno preoccupanti come gestione dell'emissione di titoli sul mercato. I titoli devono essere rimborsati il giorno della scadenza e un giorno di ritardo potrebbe costituire un default, mentre con un creditore istituzionale ci si può sempre mettere d'accordo. Basti pensare che la Grecia, nonostante i 260 miliardi di debito con l'eurozona, può andare sul mercato a condizioni non molto diverse dalle nostre.
Questi 184 miliardi di prestiti a condizioni agevolatissimi vanno confrontati ai circa 900 miliardi di euro che il nostro ministero del Tesoro dovrà raccogliere sul mercato nel 2020/2021 per finanziare il nuovo disavanzo e poter rimborsare i titoli in scadenza. Non risolvono certamente tutti i nostri problemi, ma aiutano. Ci fanno risparmiare tra 1.5 e 2 miliardi di euro all'anno di interessi sul debito pubblico.
Questi prestiti possono, di fatto, essere utilizzati come si vuole. Non ci sono condizioni perché finanzino spese aggiuntive o già fatte. La "condizione" di essere usati per la sanità (MES) o indennità di disoccupazione (SURE) sono una pura formalità. Prendiamo il caso del MES. L'Italia spende ogni anno tra 115 e 120 miliardi di euro per la sanità. Se prendesse 36 miliardi di euro per la sanità non avrebbe nessunissima difficoltà a dimostrare di aver speso questi 36 miliardi per la sanità. Basterebbe fare delle crocette a fianco di voci di spesa per la sanità già previste per 36 miliardi. Non esiste nessuna condizioni che leghi questi prestiti ad un aumento delle spese.
Prendere i 36 miliardi del MES significa solo aver preso in prestito 36 miliardi di euro a condizioni favorevolissime. Lo stesso vale per il prestito dello SURE e per quello del Recovery Fund (che potrebbe avere però come condizione il rispetto delle raccomandazioni economiche dell'Unione europea).
l'Unione europea serve anche a risolvere i mille problemi pratici che possono sorgere nelle relazioni tra vicini; è anche il condominio che gestisce le relazioni tra 27 paesi del più piccolo dei cinque continenti.
La crisi del Covid lo sta mostrando molto chiaramente. Purtroppo la sanità non è uno dei campi dove i 27 hanno incaricato il condominio di gestire i problemi comuni. Bisognerebbe discuterne.
Questo pezzo è ispirato dalla cronaca e dalle esperienze di questi giorni.
https://www.uominiebusiness.it/default.aspx?c=634&a=28679&t...
La qualità dell'informazione che riceviamo dalla RAI è spesso molto scadente.
Stamattina i giornali radio hanno detto che 20 miliardi del pacchetto deciso a Bruxelles arriverebbero già adesso e sarebbero utilizzabili nella manovra che sarà decisa a settembre. L'informazione è completamente sbagliata.
Per fortuna la Rai ha trasmesso anche un estratto dell'intervista con il ministro Gualtieri che non ha affatto detto quanto capito dai giornalisti dell'ente di servizio pubblico. Il ministro Gualtieri ha parlato di una disposizione dell'accordo che permette il prefinanziamento del 10 per cento dell'insieme dei progetti presentati. Il ministro ha detto "nel primo anno". Effettivamente questa disposizione esiste e riguarda il prefinanziamento nel 2021 del 10 per cento dei circa 70 miliardi di spese comuni che saranno effettuate in Italia. Quindi si tratta di sette miliardi che saranno disponibili nel corso del prossimo anno.
Il ministro ha poi anche detto che tra i progetti che saranno presentati per il finanziamento da parte del Recovery Fund si potranno includere anche i progetti che sono stati lanciati dopo lo scoppio della crisi Covid, ossia dopo il febbraio di quest'anno.
Non è possibile che l'UE possa trasferire nel 2020 fondi che ancora non ha e che saranno disponibili, se tutto va bene, solo dall'inizio del prossimo anno. L'emissione degli eurobond sarà un'operazione che richiederà un certo tempo.
Due reazioni alla presentazione dei risultati dell'accordo fatta nel TG1 delle 13.30.
Non è esatto dire che è la prima volta che si "condivide del debito comune", che sarebbe la prima volta che si emettono eurobond. Gli eurobond, o titoli emessi da organismi dell'UE con una garanzia diretta o indiretta degli stati membri, esistono da decenni. I titoli emessi dalla BEI, dal MES o dalla Commissione europea per il sostegno delle bilance dei pagamenti sono tutti degli eurobond. Sul mercato ce ne sono per più di 700 miliardi di euro.
È invece la prima volta che si emettono eurobond per finanziare spese comuni. E si tratta di un passo molto importante.
Non vedo come si possa affermare che l'Italia riceverebbe 209 miliardi di euro.
Per quanto riguarda le "spese comuni" la parte dell'Italia secondo i criteri proposti dalla Commissione europea dovrebbe essere di 63/64 miliardi di euro. L'uso del criterio della caduta del PIL potrebbe migliorare l'allocazione all'Italia per il 2023 (30 per cento del totale). Questo potrebbe portare l'allocazione all'Italia fino a quasi 70 miliardi.
Per quanto riguardi i prestiti diretti, l'Italia potrebbe avere più dei 91 miliardi inizialmente previsti visto l'allargamento della quota dei prestiti. Ma le conclusioni del Consiglio europeo indicano che la cifra massima del prestito ad un paese non potrà comunque superare il 6.8 per cento del suo Reddito nazionale lordo. Prendendo come base di calcolo il RNL italiano del 2019 (quelli del 2020 e 2021 saranno più bassi) si ottiene un tetto di 122 miliardi.
Il totale da comunque una cifra totale di circa 190 miliardi, leggermente superiore a quella prevista nella proposta della Commissione europea.
L'accordo raggiunto è positivo ed importante. Per la prima volta degli eurobond sono emessi per finanziare delle spese comuni. Per la prima volta si ricorre all'indebitamento per finanziare di fatto il bilancio dell'UE. E questo viene fatto per cifre molto alte (più o meno per l'equivalente di due bilanci annuali UE normali).
L'unico punto nero è che non si è potuta introdurre la clausola che avrebbe legato l'esborso di alcuni fondi al rispetto dei principi democratici. La clausola è stata abbandonata e si è chiesto alla Commissione europea di "fare proposte" su cosa si potrebbe fare.
Per ottenere l'accordo è stato necessario aumentare in maniera sostanziosa gli "sconti" di cui usufruiscono quattro dei cinque paesi "frugali". Questo avrà un effetto marginale sulla quota italiana nel finanziamento del bilancio UE e quindi nel rimborso degli eurobond emessi per finanziare le nuove spese comuni.
Ma per il Recovery Fund (ufficialmente "Recovery and Resilience Facility") il risultato è ottimo. Si sono ridotti i fondi per nuove spese comuni (che non sono mai stati soldi regalati), ma si sono aumentati i prestiti che sono quello di cui si aveva veramente bisogno. Tutte le discussioni a Bruxelles sono sempre state soprattutto su come aiutare i cinque/sei paesi in difficoltà ad uscire dalla crisi (cosa che è nell'interesse di tutti i paesi UE). I prestiti sono il meccanismo che risponde in maniera mirata alla necessità di aiutare i paesi in difficoltà.
Per di più si è deciso di modificare i criteri usati per la ripartizione indicativa dei fondi del Recovery Fund per includere la caduta effettiva del PIL nel 2020 e nel biennio 2020/2021. Questo criterio – purtroppo – avvantaggerà l'Italia che potrebbe avere una ripartizione ancora più favorevole di quella annunciata dalla Commissione quando ha fatto la sua proposta.
Complessivamente i fondi immediatamente a disposizione dell'Italia saranno perfino più alti di quanto previsto dalla Commissione europea nella sua proposta perché i prestiti sono esplicitamente a favore dei cinque/sei paesi in difficoltà e quindi la quota dell'Italia nei prestiti è molto più alta che nelle spese comuni.
Il rimborso degli eurobond è previsto tra moltissimi anni: entro il 31 dicembre 2058. Visto che è previsto che il rimborso non superi i 30 miliardi all'anno per i 390 miliardi di eurobond per spese comuni, l'inizio dei pagamenti dovrebbe avvenire dal 2027/2028, con il prossimo "Quadro finanziario pluriennale" (bilancio settennale). Per i prestiti bilaterali le condizioni e le scadenze dipenderanno dai singoli contratti, dalle preferenze dei paesi beneficiari e dalle condizioni di mercato. Un problema per il nostro governo sarà il fatto che il prestito del MES è senza condizioni, mentre quello del Recovery Fund ne avrà.
In più c'è anche l'annuncio di una nuova risorsa propria sulla plastica non riciclata che finisce nei rifiuti che dovrebbe essere introdotta già dal primo gennaio 2021. È stata anche annunciata l'intenzione di introdurre una "carbon tax" sulle importazioni entro il primo gennaio 2023.
Se si tiene conto dei 540 miliardi già decisi (MES, SURE e BEI) e dei programmi massicci della BCE. La risposta dell'UE è stata sicuramente adeguata e all'altezza della sfida. Oltre a tutto l'UE ha preso le sue misure in tempi molto rapidi (soprattutto se si pensa alla crisi dei debiti sovrani del 2010/2012. La recessione provocata dal Covid ha dimensioni mai viste prima in tempo di pace e una risposta eccezionale era logica, ma l'Unione europea ha probabilmente anche imparato qualcosa dal periodo 2010/2012.