Risposte

  • Speriamo che abbiate ragione voi e che Trump non venga rieletto. Ma l'uomo, anche se mattacchione e provocatore, ha più di una freccia al suo arco. Trump è furbo, sa che la crisi del coronavirus lo puo' avvantaggiare, anche se sembra il contrario. E' possibile che parte delle manifestazioni di Washington, ad esempio, siano dirette da fondamentalisti vicini al suo credo politico. Ho paura che gli Afroamericani saranno ancora più oppressi. Tenete presente che l'alta borghesia nera vota repubblicano. Quindi prudenza nei giudizi politici...

  • Questo è l'ottimo editoriale del financial Times di oggi, 3 giugno 2020.

    Social unrest has spread across America and beyond in reaction to the police killing of an unarmed African American man, George Floyd, by a Minneapolis police officer. It has brought even more attention to the racial inequality and economic bifurcation in the US — and the ways in which they are inexorably linked — which the Covid-19 pandemic had already laid bare. 

    Just as people of colour have disproportionately been victims of the virus, they also have been subject to higher levels of incarceration and police brutality. The roots of the problem are deep and old. An invisible line runs from the original sin of slavery in the US, to the racial segregation of the Jim Crow south, to the gerrymandering or redrawing of voting maps that has supported the systemic economic oppression of African Americans. As a result, relative to whites, they have suffered higher levels of poverty and unemployment, as well as poorer education levels and health outcomes, for decades. 

    In the post-second-world-war era, African American unemployment levels have typically been double the levels of those of white Americans. Some progress in closing the gap was made in the past 10 years thanks to nearly full employment preceding the outbreak of Covid-19 — companies have trouble discriminating when they really need workers. Yet there is a persistent divide between the fortunes of white Americans and those of colour. 

    The coronavirus crisis has split the workforce into three groups: those who have lost jobs or at least some pay; those who are deemed “essential” workers who must labour on through the crisis (often at great risk to their own health); or those who are virtual knowledge workers whose lives have hardly been affected. 

    African Americans have fallen disproportionately into the first two groups. While they have faced unprecedented job losses, they have also been on the front lines of the crisis as essential workers, often in unsafe or low-paying jobs. They have been more exposed to the virus either through work or through health vulnerabilities as people without access to quality healthcare, nutrition, or good housing are more at risk. As a result, African Americans have suffered higher than average infection and death rates. 

    The combination of mass unemployment, Covid-19, and social unrest has the potential to exacerbate the divide. Many of the wealthiest Americans live in affluent districts or have decamped to summer homes and holidays in the country where they are comfortably waiting out the quarantine. Meanwhile, large-scale social dissent in the highest density parts of the country threaten both health outcomes and the reopening of the economy. 

    President Donald Trump has tried to capitalise on the sense that public law and order is in danger, stoking further anger and the potential for more violence. While some politicians, most notably New York governor Andrew Cuomo, have emphasised unity, Mr Trump is trying to craft a divisive narrative of random, violent protesters at war with good cops. 

    Americans should not buy it. As Mr Cuomo put it, the tragedy of George Floyd is one of many “chapters in a book. And the title of the book is continuing injustice and inequality in America”. The only way to end the Two Americas story will be to acknowledge that race and economic inequality are profoundly connected. Solving the Covid-19 crisis, police violence, unemployment and most other US problems will require connecting the dots between the two — something this president has shown himself incapable of doing.

  • È appena stato reso pubblico uno studio prodotto da due economisti dell'ufficio studi della Federal Reserve di Washington sugli effetti della recente imposizione di dazi su alcune importazioni americane.   Il titolo dello studio è:   "Disentangling the Effects of the 2018-2019 Tariffs on a Globally Connected U.S. Manufacturing Sector".   Gli autori sono Aaron Flaaen and Justin Pierce.   Il link allo studio è : https://www.federalreserve.gov/econres/feds/files/2019086pap.pdf .   Lo studio è stato pubblicato nella collana:  Finance and Economics Discussion Series Divisions of Research & Statistics and Monetary Affairs. 

    Lo studio arriva alla conclusione che l'imposizione di dazi ha ridotto l'occupazione nel settore manufatturiero che si voleva aiutare.   Chissà se questo studio provocherà un Twit furioso di Donald Trump.   Qualche tempo fa aveva twittato che alla FED, di cui lui aveva nominato il presidente, erano diventati tutti matti.   Questo studio lo rafforzerà nella sua convinzione.  Per gli economisti però, questo studio non fa che confermare quello che si è sempre saputo: i dazi non aiutano nessuno

    Questi sono due paragrafi delle conclusioni (la traduzione segue). 

    "We find that the 2018 tariffs are associated with relative reductions in manufacturing employment and relative increases in producer prices. For manufacturing employment, a small boost from the import protection effect of tariffs is more than offset by larger drags from the effects of rising input costs and retaliatory tariffs. For producer prices, the effect of tariffs is mediated solely through rising input costs. 

    These results have implications for evaluating the effects of recent U.S. trade policy. While one may view the negative welfare effects of tariffs found by other researchers to be an acceptable cost for a more robust manufacturing sector, our results suggest that the tariffs have not boosted manufacturing employment or output, even as they increased producer prices. While the longer-term effects of the tariffs may differ from those that we estimate here, the results indicate that the tariffs, thus far, have not led to increased activity in the U.S. manufacturing sector." 

    (Arriviamo alla conclusione che i dazi del 2018 sono associati a riduzioni relative dell'occupazione del settore manufatturiero e ad aumenti dei costi di produzione.   Nel caso dell'occupazione del settore manufatturiero un piccolo aiuto derivante dalla protezione offerta dai dazi è più che compensato dagli effetti dell'aumento dei costi di produzione e quelli dei dazi compensatori.   Per i prezzi alla produzione, l'effetto è dovuto solo all'aumento dei costi dei beni intermedi. 

    Questi risultati hanno implicazioni per il giudizio da dare sulla politica commerciale recente degli Stati Uniti.   Se si potrebbe vedere l'effetto negativo sul benessere dei consumatori messo in evidenza da altri ricercatori come un costo accettabile del rafforzamento del settore manufatturiero, i nostri risultati suggeriscono che i dazi non hanno prodotto ne un aumento dell'occupazione del settore manufatturiero, ne un aumento della sua produzione, anche se ne hanno aumentato i prezzi di produzione.   È possibile che gli effetti di lungo periodo siano diversi da quelli che abbiamo stimato in questo studio, ma i risultati indicano che i dazi finora non hanno prodotto un aumento dell'attività del settore manufatturiero degli Stati Uniti.)

    https://www.federalreserve.gov/econres/feds/files/2019086pap.pdf
  • Ė possibile che in questi giorni sia iniziata la fine della carriera politica di Donald Trump?   Ė sempre difficile riconoscere i momenti chiave della storia quando questi non si presentano sotto la forma di eventi ben specifici, ma risultano invece dal combinarsi in un breve periodo di vari piccoli incidenti o altri fattori.   Per di più, è difficile riconoscere i momenti chiave quando le valutazioni sono inquinate dai propri pregiudizi.   Riconosco di voler tanto vedere Donald Trump uscire di scena da non essere un analista imparziale. 

    Ma gli ultimi giorni – che per caso ho vissuto negli Stati Uniti essendo esposto ad una dose massiccia di televisione – hanno fatto conoscere molti elementi che dovrebbero preoccupare seriamente i sostenitori dell'attuale presidente americano. 

    Mercoledì mattina ho visto la diretta televisiva della conferenza stampa congiunta di Donald Trump e del nostro presidente della Repubblica.   La rete si sta divertendo con i video della faccia attonita dell'interprete della nostra ambasciata di fronte alle cose sconclusionate dette da Donald Trump e che lei doveva poi tradurre (cosa che ha comunque fatto in maniera impeccabile).   Ma l'elemento più importante di questa conferenza stampa non sono state le assurdità storiche e logiche pronunciate da Donald Trump, ma la sua faccia stravolta e il suo comportamento da persona che, di fronte alle difficoltà, ha perso il controllo di sé.   Questo è apparso chiaramente nelle risposte che ha dato ad alcune domande dei giornalisti. 

    Il presidente aveva di che essere preoccupato.   La House of Congress aveva appena votato una risoluzione di condanna della decisione di Donald Trump di ritirare le truppe americane dalla Siria (aprendo quindi la via all'attacco turco contro i curdi) con una maggioranza schiacciante: 354 voti a favore e 60 contrari.    Questo voto significa che la maggioranza dei membri repubblicani del congresso ha appoggiato la risoluzione contro la politica del presidente in Siria. 

    Subito dopo l'incontro con il presidente Mattarella, il presidente Trump ha incontrato alla Casa Bianca una delegazione di parlamentari democratici guidati dalla presidente della House of Congress, Nancy Pelosy.   Il linguaggio tenuto da Donald Trump fin dall'inizio dell'incontro (ingiurie personali contro Nancy Pelosi) è stato tale da provocare l'abbandono della riunione da parte di tutta la delegazione democratica.   Hanno dichiarato alla stampa che il presidente aveva perso il controllo di se ("He had a meltdown"). 

    Giovedì le cose sono continuate ad andare male per il presidente.   Gordon Sondland, l'ambasciatore americano presso l'Unione europea, ha dichiarato di fronte al comitato del Congresso che prepara l'impeachment che, durante un incontro alla Casa Bianca il 23 maggio scorso, il presidente aveva dato istruzione ai diplomatici americani che avevano a che fare con l'Ucraina di "parlarne con Rudy"; ossia di parlare della linea da tenere con l'Ucraina con l'avvocato personale di Donald Trump, Rudy Giuliani.   L'ambasciatore Sondland ha detto di aver capito solo successivamente (dopo la pubblicazione a fine settembre della trascrizione approssimativa della telefonata tra Donald Trump ed il presidente ucraino Volodymir Zelensky) cosa quest'istruzione implicasse.   Ha dichiarato per iscritto che "invitare il governo di un altro paese ad iniziare un'inchiesta per influenzare un'elezione in America è sbagliato".   Ha aggiunto anche che "ritardare il versamento di aiuti economici promessi per esercitare una pressione su di un governo straniero perché faccia queste cose è sbagliato".   

    Queste dichiarazioni sono acqua al mulino dell'impeachment   Ma la cosa più interessante è che Gordon Sondland è repubblicano, è stato uno dei più grossi raccoglitori di fondi per la campagna elettorale di Donald Trump ed è stato ricompensato per il suo contributo con il posto di ambasciatore presso l'Unione europea. 

    Giovedì mattina, il capo di gabinetto di Donald Trump, Mick Mulvaney, ha tenuto una conferenza stampa per cercare di calmare le acque.   Ma nella conferenza stampa ha detto che il ritardo nel versamento degli aiuti all'Ucraina c'è stato.   Secondo lui, il ritardo deliberato di alcuni versamenti internazionali per esercitare un'ulteriore pressione politica sarebbe una pratica costante di tutti i governi.   Ha invitato i giornalisti a rendersi conto di come stanno le cose e a smetterla di fare un caso dei ritardi nei versamenti all'Ucraina ("Get over with it"). 

    Poco dopo, fonti della Casa Bianca hanno fatto sapere che i servizi legali della Casa Bianca erano molto preoccupati dalle dichiarazioni di Mulvaney.   Avrebbero dichiarato di non avere avuto nulla a che fare con la preparazione della sua conferenza stampa.    Il presidente ha sempre negato che ci sia stato un ritardo nel versamento degli aiuti per esercitare pressioni sulle autorità ucraine.   Nella serata, la CNN si è divertita a mostrare i video delle dichiarazioni di Mick Mulvaney e quelli di tre dichiarazioni recenti di Donald Trump nelle quali affermava il contrario di quanto detto dal suo braccio destro.

    Il ministro dell'Energia, Rick Perry (ex governatore del Texas e vecchio amico di Donald Trump), ha annunciato oggi le sue dimissioni, lascerà il suo incarico alla fine dell'anno.   Come ministro dell'Energia, Rick Perry aveva avuto molto a che fare con l'Ucraina ed era visto sempre più come una persona forse coinvolta nello scandalo.   I motivi delle sue dimissioni non sono stati indicati nella lettera di commiato, ma il momento scelto per l'annuncio sembra poco dovuto al caso. 

    E, per finire, il senatore Mitt Romney – il candidato repubblicano battuto da Barack Obama nelle elezioni del 2012 – ha pronunciato un discorso in cui ha definito la decisione di Donald Trump di abbandonare i curdi "una macchia di sangue negli annali della storia americana".  Si è perfino chiesto se Donald Trump non si sia semplicemente piegato ad una imposizione del presidente Erdogan alla quale non avrebbe avuto il coraggio di resistere. 

    Un recente sondaggio Economist/YouGov mostra che il 52 per cento degli americani non sarebbe d'accordo con la posizione presa sulla Siria dal presidente Trump, mentre solo il 28 per cento la condividerebbe.   Ma tra gli elettori repubblicani queste posizioni sono ribaltate: il 57 per cento è favorevole alla politica del presidente su Siria/Curdi, mentre solo il 26 per cento non la condividerebbe. 

    Nonostante alcune posizioni individuali, il partito repubblicano non sembra quindi orientato a cambiare cavallo per le elezioni del 2020.   Questa posizione è giustificata anche dalla situazione nel campo democratico dove non si vede ancora chi possa essere uno sfidante serio.   Sono ancora in corsa ben 12 candidati con i tre "favoriti" - la senatrice Warren, Bernie Sanders e l'ex vice presidente Joe Biden - con poche possibilità di vittoria.   La senatrice Elizabeth Warren ha posizioni molto estreme e poco chiare dal punto di vista della compatibilità finanziaria di alcune sue proposte, Bernie Sanders ha un'età avanzata e ha appena avuto un problema cardiaco non trascurabile e Joe Biden porta con se il peso che ha affossato Hillary Clinton: è visto come un rappresentante di quell'establishment responsabile dei guai attuali. 

    L'elemento che più mi fa pensare (sperare?) in una rapida uscita di scena di Donald Trump è il suo carattere incontrollabile.   Potrebbe regalarci alcune uscite talmente inappropriate e sconvenienti da portare ad un numero critico di defezioni nel partito repubblicano, nella stampa e tra i commentatori.  Il nucleo dei suoi sostenitori gli rimarrà fedele qualunque cosa dica e faccia.   Ma spero che il peso relativo di questo gruppo nel totale dell'elettorato americano si riduca. 

    Le prossime settimane ci offriranno sicuramente molti altri sviluppi interessanti.   Nel valutarli dovremo però tener presente una distinzione fondamentale che è stata ben formulata da Nancy Pelosi.   L'impeachment riguarda la difesa della Costituzione e delle istituzioni e quindi una eventuale violazione di norme.   Questo è quindi un problema giuridico da decidere attraverso la verifica dei fatti anche se il giudizio è affidato in ultima analisi a degli organi politici: i due rami del Parlamento.    Il disaccordo sulla posizione di Donald Trump sulla Siria (cosi come il disaccordo su tanti altri temi, dall'immigrazione ai tagli delle tasse per i ricchi passando per le politiche ambientali) è una questione politica da dirimere con le elezioni.

    https://www.uominiebusiness.it/default.aspx?c=635&a=28129&t...

    Trump al capolinea - Uomini & Business
  • Mariella,

    il tuo ultimo punto è molto importante.   Dimentichiamo quanto poco democratica - e quindi pericolosa - sia la Cina.   Specialmente adesso che ha un presidente a vita.

  • Ho seguito le vicende di HongKong con molta apprensione,temendo risvolti simili a quelle di Tiananmen del 1989. Il furor di popolo sembra aver avuto la meglio,ottenendo la sospensione " della legge sulla estradizione .Ma il popolo insiste ,chiede il ritiro della legge e le dimissioni della governatrice Carrie Lam. 

    Speriamo sia solo l'inizio di un moto di libertà e affermazioni dei diritti umani che stentano ad essere riconosciuti  in Cina . Il caso dimostra anche che, aldilà delle influenze dell'Occidente e degli USA, sono i popoli stessi che devono reagire e difendere i propri diritti.

    Resta poi che tutto l'Occidente , Unione Europea in testa, hanno intrecciato e sviluppato rapporti  commerciali con la Cina senza esigere la più elementare trasparenza e rispetto dei diritti umani che sono alla base delle nostre democrazie

  • Un giustissimo commento di Federico Rampini. 

    Su Hong Kong l'Occidente tace: ha torto

    Quel che accade a Hong Kong è drammatico anche per il silenzio di Trump e di tutto l'Occidente. In passato lo status di Hong Kong veniva considerato come un test per la Cina. Il rispetto dei "privilegi" (leggi: libertà di espressione, Stato di diritto, tribunali indipendenti, habeas corpus) concordati nel 1997 al momento del passaggio dell'isola dal Regno Unito alla Cina, è sempre stato osservato con vigilanza da Washington, Londra, e altre capitali europee.

    Dalla capacità di Pechino di mantenere quelle promesse, e di seguire la massima "una nazione, due sistemi" (cioè un sistema politico e giuridico diverso a Hong Kong pur essendo tornato a far parte della Grande Cina) veniva misurata l'affidabilità dei dirigenti comunisti come interlocutori in un ordine mondiale basato su regole.

    Trump si prepara a incontrare Xi Jinping al G20 di Osaka (dove lo seguirò fra due settimane) in un clima di grande tensione, ma ha ridotto tutto il rapporto bilaterale alla dimensione economica. Mentre il vero punto debole della Cina, in particolare in quell'area del mondo ancora affollata di liberaldemocrazie alleate degli Usa (da Taiwan al Giappone alla Corea del Sud) è proprio la natura del suo regime. Aver cancellato la questione dei diritti umani e delle libertà dalla sfera delle nostre "politiche cinesi" ci indebolisce tutti. 

    http://rampini.blogautore.repubblica.it/2019/06/10/su-hong-kong-loc...

    Su Hong Kong l'Occidente tace: ha torto
    Quel che accade a Hong Kong è drammatico anche per il silenzio di Trump e di tutto l'Occidente. In passato lo status di Hong Kong veniva considerato…
  • http://www.limesonline.com/rubrica/forum-di-pechino-la-cina-rifa-il...

     

    La via della Seta, spiegata a noi tutti!

    Al forum di Pechino, la Cina rifà il trucco alle nuove vie della seta
    Gli eventi geopolitici più importanti di aprile per la Belt and Road Initiative.
  • https://www.jeuneafrique.com/768431/politique/legislatives-au-benin...

    Questo è un esempio di come i paesi africani abbiano bisogno di tutto il nostro aiuto per consolidare relativamente giovani democrazie.

         Ha l'istituzione presieduta dalla Mogherini il potere ed il sapere necessari ad affrontare queste questioni che interessano tutti noi in primis?

    Législatives au Bénin : vers une abstention massive, Internet toujours très perturbé – JeuneAfrique…
    Peu d'électeurs avaient fait le déplacement pour élire leurs 83 députés dimanche 28 avril, un scrutin auquel ne participait pas l'opposition béninois…
  • Marcello Sassoli

    l'articolo spiega bene la "distrazione "italiana sullo scacchiere libico, ma spiega anche le ambiguità della politica francese nel sostenere chi Haftar o Serraj ? Haftar ricordiamolo è stato un generale di Gheddafi,fuggito, fatto prigioniero dagli USA, ora di nuovo in campo con l'appoggio di Egitto. Arabia Saudita, Emirati arabi ,Russia e ..  Francia?

    Al Serraj gode del l'appoggio della Comunità internazionale ( ONU?)  Italia e..la Francia? 

    Cosa è in gioco il potere economico ( i pozzi petroliferi ) o quello religioso islamico più radicalizzato ?

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Discussioni precedenti

Bufale e baggianate

Questo è il link ad un commento di BUTAC che smonta la bufala di una tassa che la Francia preleverebbe sulle sue ex-colonie che usano il franco CFA.   E questa è un'ottima spiegazione di Luigi Marattin.

Le mie opinioni

Pezzo uscito su Uomini & Business.

30 agosto 2018 - Fermare il nazionalismo