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Risposte

  • Da vari giorni, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale ci stanno ricordando la grave situazione dei paesi più poveri, soprattutto in Africa.   Questi paesi non sono colpiti direttamente dal Covid-19 in maniera significativa (hanno pochi casi ufficiali e, purtroppo, il Covid si aggiunge alle tante altre cause di mortalità che esistono in quei paesi).   La preoccupazione delle organizzazioni internazionali e di tanti altri osservatori è per il fatto che questi paesi sono colpiti dal lockdown nei paesi industrializzati.   Le loro esportazioni verso i paesi industrializzati sono praticamente ferme. 

    Questa notizia è grave per i paesi emergenti, ma ci ricorda anche che nelle prossime settimane i nostri governi non dovranno fare una scelta tra salute e economia, ma tra due gravi forme di disagio sociale. 

    La globalizzazione ha permesso a centinaia di milioni di persone di migliorare le loro condizioni; il Millennium goal della riduzione della povertà assoluta è stato raggiunto prima del previsto.   C'è una sola cosa che sia peggiore delle condizioni di lavoro delle sarte del Bangladesh o di quelle di tanti lavoratori africani: il non avere più nessun reddito.   E questo succede proprio adesso quando, pensando all'immigrazione, tanti sostengono che questi poveretti dovrebbero essere "aiutati a casa loro". 

    Ma più vicino a noi c'è il dramma delle tante persone stanno perdendo il lavoro nonostante tutti gli sforzi del governo.   Le persone più colpite sono le più deboli: i lavoratori autonomi, quelli precari e soprattutto quelli che lavorano in nero.    Il "confinamento" è una scelta non molto dolorosa per chi vive in una casa confortevole, ha un reddito sicuro (per esempio, le pensioni) e ha un buon livello culturale.   Ma il confinamento ha un peso molto forte per la parte più debole delle popolazioni di tutti i paesi industrializzati. 

    Scegliere la via della massima sicurezza è una scelta facile per chi vive relativamente bene.   Sono molto perplesso dalle scelte fatte in India e in altri paesi poveri.   I governi, espressione soprattutto delle classi più agiate, hanno fatto la scelta del confinamento come i paesi industrializzati, ma questo significa la fame e la disperazione per la stragrande maggioranza della popolazione. 

    Non c'è dubbio che i lockdown siano stati la scelta giusta nei paesi industrializzati.   Nessun governo democratico può assistere a migliaia di decessi in più senza aver cercato di fare tutto il possibile per evitarli.   

    Ma adesso si dovranno definire i tempi e le modalità di riapertura delle attività.    Non si è più in una situazione di "bianco" o "nero".   Si dovrà scegliere la tonalità di grigio che conviene meglio all'insieme della popolazione.   Se si chiede alla professione medica quale sia la migliore strategia per battere l'epidemia, la risposta non può essere che "tutti a casa fino a quando si avrà un vaccino".   Ma questo avrebbe un costo sociale altissimo.   I governi dovranno trovare un giusto equilibrio tra esigenze contrastanti. 

    L'Italia è un paese che tende a fare scelte orientate soprattutto al rifiuto dei rischi, quale che ne sia il prezzo.   Ho paura che le nostre scelte future saranno orientate di nuovo in questa direzione.   L'Italia è stata colpita dall'epidemia ben prima di tanti altri paesi, ha esitato un po' a prendere certe misure perché nessuno (in tutta Europa) sapeva che fare.   Nessuno aveva veramente cercato di imparare dall'esperienza cinese, la Cina è lontana.   Ma comunque l'Italia è stata il primo paese a decretare il lockdown.   Sarebbe logico pensare che l'Italia sia anche il primo paese ad uscirne.   Non penso che sarà così. 

    Siamo arrivati a questa crisi con le ossa rotte da trenta anni di crescita inferiore a quella degli altri paesi europei.   Mantenere il lockdown più a lungo degli altri paesi significherà avere una recessione più forte di quelle degli altri paesi.   E questa recessione, come ho spiegato, rischia di colpire i più deboli ancora di più di quella del 2008/2009 nella quale il settore a subire il più grosso ridimensionamento strutturale era stato quello finanziario.

  • Un ottimo commento di Federico Fubini.

    https://www.corriere.it/opinioni/19_novembre_24/se-classe-politica-...

    Commento | Se la classe politica italiana non capisce più l’ Europa
    Il commento di Federico Fubini sul Corriere del 25 novembre 2019
  • Un buon articolo di Roberto Castaldi sul nazionalismo.
    http://castaldi.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/09/25/greta-...

    Greta vs Trump, unità vs divisione
    L’Assemblea Generale dell’ONU ha mostrato la frattura fondamentale della politica mondiale: unità o divisione, cooperazione o conflitto, apertura o c…
  • Piketty mette il dito nella piaga. Parla della Francia, ma parla all'Europa, al mondo tutto. Il "Kapital" va ripensato da cima a fondo per ripensare crisi tragiche che colpiranno noi tutti.

     

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    Thomas Piketty: «Repenser le code du capital»

    11 septembre 2017 Par La Rédaction De Mediapart

    Dans sa chronique mensuelle pour Le Monde, l’économiste regrette que la réforme du code du travail ne s’accompagne pas d’une évolution de la gouvernance des entreprises.

     

    Dans la dernière livraison de la chronique mensuelle qu’il tient pour le journal Le Monde, l’économiste Thomas Piketty déplore que la réforme du code du travail ne s’accompagne pas d’une évolution de la gouvernance des entreprises.

    D’abord, l’économiste émet des critiques à l’encontre de la réforme du gouvernement : « La principale mesure, et aussi la plus critiquée, consiste à plafonner les indemnités pour licenciement abusif à un mois de salaire par année d’ancienneté (et un demi mois au-delà de dix ans). Autrement dit, un employeur pourra librement licencier un salarié présent depuis dix ans dans l’entreprise sans avoir à démontrer la moindre “cause réelle et sérieuse”, et sans que le juge ne puisse lui imposer une indemnité supérieure à 10 mois de salaire. Pour un salarié présent depuis 30 ans, l’indemnité ne pourra excéder 20 mois. Le problème est que le coût social du licenciement, en termes d’indemnités chômage et de reclassement, est souvent bien supérieur. Supposé renforcer les incitations à embaucher, ce véritable permis de licencier risque surtout d’accroître le pouvoir arbitraire de l’employeur, de développer un sentiment de défiance peu propice aux investissements à long terme de la part des salariés, et aussi de multiplier les plaintes pour harcèlement ou discrimination (non soumises au plafonnement). Il eût été plus utile d’accélérer les procédures de justice, qui sont scandaleusement lentes en France. »

    Mais l’économiste trouve que le gouvernement aurait pu au moins avoir un souci d’équilibre en prenant en même temps des dispositions qui limitent le poids exorbitant des actionnaires dans la gouvernance des entreprises : « Pour sortir des jeux de rôle parfois stériles opposant les administrateurs désignés par les actionnaires et les salariés, Ewan McGaughey a ainsi proposé que les membres des conseils d’administration soient élus par des assemblées mixtes actionnaires-salariés. Ils seraient ainsi conduits à défendre des programmes d’action combinant des aspirations multiples. Isabelle Ferreras a quant à elle défendu l’idée d’un véritable bicaméralisme dans les entreprises, avec obligation pour le conseil des actionnaires et le conseil des salariés de se mettre d’accord et d’adopter les mêmes textes et décisions stratégiques. Julia Cagé a proposé que les droits de vote des actionnaires hégémoniques soient plafonnés et, inversement, que ceux des petits actionnaires et autres “crowdfunders” soient majorés d’autant. Initialement conçu pour les sociétés de médias à but non lucratif, ce modèle basé sur une relation non proportionnelle entre apports en capital et droits de vote pourrait être étendu à d’autres secteurs. Tous ces travaux ont un point commun : ils montrent que la réflexion sur le pouvoir et la propriété, que l’on a crue un instant éteinte après le désastre soviétique, ne fait en réalité que commencer. L’Europe et la France doivent y prendre toute leur place. »

    La chronique de Thomas Piketty est à lire ici.



     

     


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    Thomas Piketty: «Repenser le code du capital»
    Dans sa chronique mensuelle pour Le Monde, l’économiste regrette que la réforme du code du travail ne s’accompagne pas d’une évolution de la gouverna…
  • ANSA:

    Il presidente di Unicredit, Fabrizio Saccomanni è deceduto.   Era nato a Roma il 22 novembre del 1942. Ministro dell'Economia nel governo di Enrico Letta, Saccomanni già direttore generale in Banca d'Italia era entrato nel board dell'istituto di credito nel novembre del 2017.

    Banchiere ed economista Saccomanni, 76 anni, ha avuto un malore mentre si trovava in vacanza in Sardegna.   Solo ieri aveva partecipato insieme al ceo, Jean Pierre Mustier alla conferenza stampa di Unicredit per commentare la semestrale dell'istituto. Laureato in Economia e Commercio alla Bocconi di Milano, si era perfezionato in economia monetaria e internazionale alla Princeton University, Saccomanni ha trascorsa buona parte della sua attività lavorativa in Banca D'Italia dove era entrato, a soli 26 anni, nell'Ufficio di Vigilanza.   Era diventato presidente di Unicredit nell'aprile dello scorso anno.

    "A nome di tutto il consiglio di amministrazione e di tutte le persone di UniCredit voglio esprimere l'immenso dolore per l'improvvisa scomparsa di Fabrizio Saccomanni.   Per me scompare innanzitutto un amico di grande intelligenza e umanità, colto, competente ed arguto". Lo dice il Ceo di Unicredit, Jean Pierre Mustier in una nota. "La sua scomparsa - aggiunge - è una perdita per l'intero Paese".

    E' arrivata come un fulmine a ciel sereno la notizia della morte di Fabrizio Saccomanni ai membri del cda della Filarmonica della Scala, di cui il banchiere era presidente dallo scorso 12 dicembre.   "Io porto il mio entusiasmo di appassionato di musica classica" aveva detto al momento della nomina il presidente di Unicredit (la banca è main partner della Filarmonica), frequentatore della Scala dagli anni '50, che aveva voluto assistere anche all'ultimo concerto gratuito in piazza Duomo dell'orchestra diretta da Riccardo Chailly lo scorso 9 giugno.   Dispiacere e sgomento sono state le prime reazioni fra i membri del consiglio di amministrazione dell'ensemble, diversi dei quali in vacanza in questi giorni.

  • Marcello,

    il dibattito accademico è chiuso da decenni (tranne per qualche stregone isolato).

    Negli anni settanta Robert Mundell elaboro' una teoria ripresa e sviluppata da altri: quella delle Aree monetarie ottimali.

    Quando si comincio' a pensare a forme di stabilizzazione dei cambi in Europa ci si rese subito conto che la futura unione monetaria europea non era e non sarebbe mai stata un'area monetaria ottimale.   Un importante requisito fondamentale che mancava e mancherà è il movimento dei lavoratori all'interno dell'area.   In Europa, per ragioni storiche e culturali questo movimento non raggiungerà mai le dimensioni americane.

    Ma l'esperienza con le monete nazionali e gli aggiustamenti dei tassi di cambio si rivelo' tremenda.  I movimenti di capitale, che ai tempi di Mundell non erano molto importanti, erano diventati decisivi e determinavano i tassi di cambio più dei flussi commerciali.

    Quindi in Europa si decise (con l'accordo della stragrande maggioranza degli economisti) che nel caso europeo conveniva passare ad una moneta comune; sarebbe stata il male minore.  Riprendere il dibattito di quaranta anni fa è da ignoranti.   Termine che ben si addice al redattore di goofyeconomics.

    L'Italia non è in una "camicia di forza" imposta dalle regole europee sui bilanci pubblici.   L'Italia è in una camicia di forza imposta dalla realtà della sfiducia dei mercati nei confronti di un paese con un debito pubblico altissimo e con un'opinione pubblica che non si rende conto di questo fatto.

    Nel 2008, la Commissione europea accomando' a tutti i paesi di aumentare nel 2009 i disavanzi pubblici di almeno un punto di PIL oltre a quanto provocato dal ciclo congiunturale.  L'Italia poté farlo meno di altri paesi perché Tremonti si rendeva conto dei rischi.

  • http://goofynomics.blogspot.com/2011/12/euro-una-catastrofe-annunci...

    Euro: una catastrofe annunciata
    Quando vengo chiamato a esprimermi in pubblico sul tema dell’euro, comincio citando un brano del Diario notturno di Flaiano: “Illustre pr...
  • Fabio

    hai ragione ad indignarti , se si pensa che tanti cittadini di altri Paesi UE ,possono votare da anni per posta senza alcun problema. 

    Sono andata a votare stamane .Alle 8,30 ero già li, molta gente in fila ,ma per fortuna al mio seggio non c'era nessuno. Poiché voto per la circoscrizione Sud  ,spero non significhi una minore partecipazione rispetto ad altre regioni d'Italia.

  • Ho votato per il rinnovo del Parlamento Europeo.   Ma sono scandalizzato dalle condizioni in cui ho dovuto votare e mi vergogno profondamente per l'incapacità organizzativa mostrata, ancora una volta, da parti della nostra pubblica amministrazione.

    Da moltissimi anni, lo stato italiano organizza dei seggi nei paesi europei per permettere agli italiani residenti all'estero che desiderano votare per i partiti e candidati italiani di poterlo fare.   Io ho partecipato a tutte le elezioni del Parlamento europeo che sono state organizzate con questa modalità e non ho mai incontrato difficoltà particolari.   Non si sfugge alla conclusione che il caos che ho visto con i miei occhi, se replicato in altri paesi e seggi elettorali, sia dovuto alla volontà di questo governo di scoraggiare il voto degli italiani all'estero che gli è molto meno favorevole di quello di chi vive in Italia.   Ho l'impressione che il numero dei seggi debba essere stato fortemente ridotto.

    Come tantissime altre persone sono stato convocato in un locale dove erano state riunite molte – evidentemente troppe – sezioni elettorali.   Il locale era all'interno di uno spazio espositivo nel parco del Cinquantenario a Bruxelles.   Il voto in questo locale è stato previsto dalle 17.00 alle 22.00 di venerdì 24 maggio e dalle 8.00 alle 18.00 di sabato 25 maggio.

    Sono arrivato al seggio alle 18.30 e ho visto una fila di almeno 3-400 metri: una doppia fila lungo tutta la facciata dell'edificio più la continuazione su di un secondo e terzo lato della piazza.   Ho rinunciato e sono ritornato la sera alle 20.45.   La fila era più o meno la metà di quella del pomeriggio.   Dopo circa un'ora siamo stati informati che per alcune sezioni – tra le quali la mia – la fila all'interno dell'edificio era più corta e che potevano quindi saltare la fila principale e andare all'interno dell'edificio.    Ma all'interno dell'edificio, raggiunto con difficoltà, la situazione era ancora peggiore.   Nessuna transenna per organizzare le file, mancanza di spazio e tre file (teoriche) consistenti in una moltitudine di persone pressate le une sulle altre in un lungo e stretto corridoio (fila per la sezione 1 lungo il muro di destra, per la sezione 3 lungo il muro di sinistra e per la sezione 2 in mezzo !).   Ogni tanto si dovevano creare in passaggio in senso contrario in questa massa i fortunati che erano riusciti a votare e che volevano uscire.   Lascio immaginare il potenziale per tragedie che deriva da una situazione del genere con un corridoio di una ventina di metri pieno in questa maniera.

    Ho votato alle 22.15.   Quando sono riuscito ad uscire ho visto una fila di ancora un centinaio di metri di persone che aspettavano al buio (l'edificio è in un parco e l'illuminazione pubblica a quell'ora era spenta) e con un bel venticello fresco.   Tutte le persone addette ai lavori con le quali ho parlato sono state molto gentili, la situazione era molto imbarazzante per tutti loro.   Hanno detto che avrebbero fatto votare tutti quelli che erano in fila, probabilmente superando di una buona ora l'orario ufficiale.  

    Non dobbiamo dimenticare che l'Italia spende per la sua amministrazione pubblica meno della maggioranza dei paesi europei; la cattiva qualità dei servizi non casca dal cielo: è dovuta a leggi inadeguate, una mancanza di capacità organizzativa e a una insufficienza di fondi.

    Se il Ministero degli Esteri e il nostro Consolato dovessero avere il coraggio di vantare lo sforzo organizzativo fatto per permettere il voto all'estero non credetegli.    Ho incontrato nella fila alcuni giornalisti tra i quali alcuni della Rai.   Erano scandalizzati come me.   Chissà se le loro redazioni avranno il coraggio di parlare di queste debacles ?

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